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giovedì 7 giugno 2012

Referendum sull’indipendenza incostituzionale? Niente lingua, niente ONU




Non può definirsi “Popolo” una collettività che non esercita i propri diritti.
Sfido chiunque a dimostrare il contrario.
Le nazioni si affacciano nella storia in base ad elementi concreti o immaginari, ma quando una collettività non utilizza quelli concreti di cui dispone, può solo rifugiarsi nel mito o nell’economicismo. Un po come i leghisti padani. Eppure la Sardegna ha una sua lingua, una sua cultura e delle peculiarità storiche uniche. Sul fatto che le faccia (politicamente) valere si potrebbe stendere un velo pietoso.
Come si giustifica l’incostituzionalità con cui un ufficio regionale ha bocciato la possibilità di indire una consultazione sull’indipendenza dell’isola?
Il 6 giugno è stata annunciata l’inammissibilità del referendum consultivo in base ad un principio:
Tale principio è sancito nell’art. 5 della Costituzione Italiana (“la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”) nonché nello Statuto speciale per la Sardegna il cui art. 1 afferma che “La Sardegna con le sue isole è costituita in Regione autonoma fornita di personalità giuridica entro l’unità politica della Repubblica italiana, una e indivisibile, sulla base dei principi della Costituzione e secondo il presente Statuto”.
Si tratta di una decisione scontata, se non fosse che la stessa Repubblica è inserita a pieno titolo nei canoni del Diritto Internazionale, il quale legittima la libertà di autodeterminazione dei Popoli rispetto allo Stato di appartenenza (basti ricordare il precedente giuridico del Kosovo a cui si oppose inefficacemente il diritto serbo).
La solitaria decisione del nostro umile ufficio regionale ha inoltre dimostrato l’obsolescenza della nostra architettura istituzionale. L’aspetto curioso è che -nelle democrazie occidentali- le repubbliche degli stati-nazione sono più illiberali delle monarchie. In Scozia infatti il referendum sull’autodeterminazione dal Regno Unito sarà tenuto con il consenso della Regina Elisabetta II.
In Sardegna si potrebbe fare ricorso, anche in sede UE. Peccato che l’indipendentismo Sardo si trovi nell’imbarazzante posizione di non aver mai fatto valere con convinzione la sua condizione di minoranza linguistica (elemento chiave con cui ancorarsi ad una discriminazione collettiva sui propri diritti) e che la sua frammentazione e la sua inconsistenza presso il Popolo Sardo non lo abbiano mai portato a sviluppare una qualsivoglia forma di “corpo diplomatico” con cui instaurare convergenze internazionali. E sapete perché? Perché sul piano geopolitico, come negli affari, non basta una proclamazione unilaterale dei propri diritti (o dell’indipendenza), ma serve il formale riconoscimento di terzi Stati affinché si abbiano le necessarie tutele nel quadro degli organismi sovranazionali (tra cui l’ONU). Il Diritto Internazionale è dunque suscettibile di discrezione politica, e la sua pratica applicazione in casi come questo è subordinata all’effettivo spiegamento di forze che vanno ben oltre il singolo soggetto che rivendica un legittimo diritto.
Non ci sarà nessun Alex Salmond a parlare in nostro favore a Bruxelles, a limite la singola buona volontà di qualche eurodeputato sollecitato da amici locali a toccare la questione, senza produrre concreti riflessi nella politica italiana.
Lo sa bene anche il Comitadu pro sa Limba Sarda, da sempre in cerca di sponde politiche che non arrivano neppure dall’indipendentismo Sardo.
E l’ONU come potrebbe tutelare una minoranza nazionale quando i suoi stessi rappresentanti (cioè gli indipendentisti) non godono di consenso popolare essendosi occupati solo di fare testimonianza piuttosto che amministrazione e riforme? Non a caso la legge regionale n. 26/97, che riconosce formalmente la lingua Sarda, sul piano politico è lettera morta in Sardegna prima che in ogni altro luogo (come ad esempio presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo o della Corte di Giustizia UE).
Per farvi capire i ritardi politici sulla nostra lingua, ricordiamoci in parallelo il caso Sardo e il caso Altoatesino: nel secondo dopoguerra, mentre a Cagliari si ignorava persino l’esistenza al diritto ad una toponomastica bilingue, Roma veniva ripresa da due risoluzioni ONU per il mancato rispetto dei diritti linguistici della minoranza tedesca e ladina in nord Italia.
Nessuno potrà negare che il movimento PAR.I.S., promoter della raccolta firme per indire questo tipo di referendum in Sardegna (che noi tuttavia consideriamo prematuro), si è sempre interessato alla tutela linguistica, ma nel suo complesso il nazionalismo Sardo è sottoposto ad un autocolonialismo culturale italiano che ha di fatto svuotato il riconoscimento dei nostri diritti, privandolo di un formidabile potere politico capace di oltrepassare il diritto italiano. Inoltre a livello teorico non è detto che un referendum consultivo possa valere a priori, od ogni giorno sarebbe possibile chiedere conto ai cittadini sui temi più disparati, anche oltre la rispettiva giurisdizione territoriale. Ad esempio: “Sareste favorevoli all’abolizione della caccia nel Regno Unito?”
La realtà del nostro contesto è stata ben rappresentata dalle parole dell’ex Questore Antonio Pitea, che dopo aver lasciato la poltrona di consigliere regionale del PDL ha così dichiarato:
“Provo a indovinare: la legislatura regionale prosegue certamente sino alle elezioni politiche. Dall’incertezza sulla base di quei risultati emergeranno ripensamenti e autocritiche con la nascita, e la riesumazione, di nuovi e vecchi schieramenti. Di riforme non se ne parla e si voterà con la vecchia legge sia regionale che nazionale per premiare gli allineati. Poi con tanta armonia si troveranno coalizioni, oggi insospettabili, per tentare di governare questo Paese o di traghettarlo verso l’ignoto.
Incertezza del futuro”.

In seguito mi rispondeva che sperava in qualcosa di diverso. Ma come dargli torto?
Mentre qui una minoranza, come noi, auspica la costruzione di basi culturali ed economiche per l’indipendenza, la vecchia classe politica tira a campare sui soliti vizi: un altro mondo!
L’aspetto grottesco è che l’indipendentismo Sardo si trova addirittura indietro al centralismo italiano, sia sotto il profilo linguistico che economicistico. Cappellacci nei confronti dell’esecutivo Monti ha dimostrato la possibilità di usare una comunicazione bilingue mentre Mauro Pili (PDL) è stato il primo ad avviare una battaglia per l’incostituzionalità dell’IMU nelle Regioni a statuto speciale, in quanto munite di una propria regolamentazione finanziaria.
Non mancano naturalmente i centralisti classici, sempre più in ritardo di tutti. Pensiamo al segretario del PD Silvio Lai che ha definito “iniziativa folclorica” la comunicazione bilingue di Cappellacci. Secondo l’esponente di un Popolo che rappresenta una minoranza linguistica, rispettarla sarebbe “folclorismo”.
Quantomeno i sardisti si sono accorti che se passare alla sovranità formale è giuridicamente e politicamente difficile, occorre partire da quella esercitata. Bisogna cioè porre le istituzioni e la politica centralista di fronte al fatto compiuto. Sia utilizzando la lingua Sarda, sia imponendo il nostro diritto all’autonomia fiscale. Non esiste infatti una sovranità ma tante forme di sovranità. Sotto il profilo dell’autonomia fiscale, l’Unione dei Comuni del Marghine ha sottoscritto un documento che contempla lo sforamento del Patto di Stabilità italiano (una misura che non consente alle nostre amministrazioni di liberare liquidità per poterla destinare allo sviluppo, incatenando le nostre comunità locali). Questa mozione può rappresentare una solida base di partenza per metterla in discussione.
Eppure la situazione rimane grave. In conclusione, se l’indipendentismo intende seriamente porsi come alternativa di governo del territorio per contribuire al benessere collettivo, prima di ingaggiare battaglie sull’indipendenza in solitaria dovrebbe innanzitutto capire qual è la sfera dei diritti che intende promuovere nella sua azione politica. E sostenerli in modo netto e compatto.
Di Adriano Bomboi.

http://www.sanatzione.eu/2012/06/referendum-sullindipendenza-incostituzionale-niente-lingua-niente-onu/ 

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