Pagine

sabato 26 maggio 2012

LA SARDEGNA E’ OPPRESSA DALL’ITALIA, PERCHÉ LA NOSTRA CLASSE POLITICA SI RENDE SERVILE VERSO ROMA.

Auspico un intervento del Presidente della Repubblica affinché verifichi che l'azione dell'esecutivo, che ha prestato giuramento nelle sue mani, sia rispettosa della Costituzione, della leale collaborazione Istituzionale e di quell'unità nazionale che non può essere minacciata da atteggiamenti che sembrano concretizzare una secessione al contrario.
(Ugo Cappellacci)
http://www.unionesarda.it/Articoli/Articolo/274402

TAVOLA ROTONDA, DAL TITOLO: "IL METANODOTTO CHE FARE? L'ENIGMA GALSI"

L'Idv ha organizzato per sabato
un incontro sul metanodotto Galsi


 (foto: http://www.unitipersangemini.com/wordpress/convenzione-enel-gas)
(foto: http://www.unitipersangemini.com/wordpress/convenzione-enel-gas)
SASSARI. Il Galsi, la scelta del Consiglio regionale della Sardegna  di cofinanziare e consentire la realizzazione di un lungo metanodotto che dall'Algeria passa per la Sardegna sino alla Penisola,  i pareri differenti, i dubbi, le speranze, i pareri negativi. Questi sono i temi proposti nell'incontro organizzato per sabato prossimo alle 17,30 dal coordinamento cittadino dell'Italia dei Valori nella sala conferenze del Comando dei Vigili Urbani di Sassari in Via Carlo Felice.
La tavola rotonda, dal titolo: "Il metanodotto che fare? L'enigma Galsi", vede la partecipazione: dell'Associazione Gruppo Intervento Giuridico, il Comitato Pro-Sardegna No-gasdotto, la Presidenza della Provincia di Sassari, l'assessore Provinciale all’Ambiente, il Capogruppo consiglio comunale Italia dei Valori i Rappresentanti di Sardinia Natzione, Irs, Pd, Sel, Federazione della. Sinistra, Verdi, Legambiente, Cgil Cisl, Uil, Assessorato regionale all’Industria, Assessorato regionale all’Ambiente e l'europarlamentare Giommaria Uggias.
 

ROMA SI APPROPRIA DI 180 MILIONI DOVUTI AI COMUNI SARDI


pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno venerdì 25 maggio 2012 alle ore 20.42 ·
 


I FONDI DELLE ACCISE SULL'ENERGIA
Non sono solo i contribuenti a essere presi di mira dallo Stato, che chiede soldi per tappare i buchi di bilancio. Da Roma arrivano nuovi diktat. Le accise comunali saranno incamerate dallo Stato, e dovrà essere la Regione a compensare i fondi mancanti ai Comuni. Peccato, però, come dimostra la vertenza entrate, che lo Stato debba alla Sardegna una bella sommetta, conservata nelle casse romane. E chiederla indietro finora è stato praticamente inutile.

LE ACCISE RUBATE Fino ad ora, i Comuni incassavano una quota delle accise pagate dai contribuenti sulle bollette per il consumo di energia elettrica. Lo Stato raccoglieva le somme e poi le divideva fra tutti i fratellini, gli enti locali presenti sul territorio italiano.

Ebbene, dal primo aprile scorso, il Governo Monti ha deciso di cambiare registro. Bisogna fare cassa, lo sappiamo, è questo l'imperativo dell'attuale esecutivo, se poi non si garantiscono i servizi essenziali ai cittadini, non è un problema del Governo ma dei sindaci, che infatti sono sul piede di guerra e il 31 maggio si ritroveranno a Venezia per contestare le decisioni di Roma.

Quindi la norma che prevedeva il trasferimento delle accise sulle bollette elettriche ai Comuni è stata abrogata. «Il minor gettito per gli enti locali», si legge nel decreto del 2 marzo (articolo 4, comma 10), «derivante dall'attuazione del presente comma, è reintegrato agli enti medesimi dalle rispettive Regioni a statuto speciale e Province autonome di Trento e Bolzano».

I NUMERI E il conto, per i Comuni, non è da poco. Soltanto nell'anno in corso, i 377 paesi della Sardegna perderanno 180 milioni di euro, mentre il prossimo anno dovranno fare a meno di 239 milioni. Una somma che forse non è enorme, ma permetteva ai Comuni di far fronte ad alcuni servizi essenziali. «Per il mio Comune, la somma si aggira intorno ai 40 mila euro, ma per noi è vitale, così come lo sono tante altre voci di bilancio. E poi i centri più grossi perderanno anche alcuni milioni di euro», spiega Cristiano Erriu, presidente dell'Anci Sardegna, l'associazione dei Comuni, e primo cittadino di Santadi.

LA RICHIESTA L'Anci ha subito chiesto un incontro urgente alla Regione, in particolare agli assessori degli Enti locali, Nicolò Rassu, e del Bilancio, Giorgio La Spisa, per trovare una soluzione al mancato introito dei fondi versati dai cittadini sardi attraverso le bollette elettriche. La Regione deve reintegrare queste somme, «recuperate per effetto del minor concorso alla finanza pubblica» da parte degli enti a Statuto speciale.
Allo stesso tempo, però, non va dimenticato che la vertenza sulle entrate è ancora aperta con Roma. Difficile, dunque, garantire subito quelle somme ai Comuni, che devono fare i conti anche con il maggior prelievo dei fondi Imu (la metà del gettito proveniente da seconde case e immobili commerciali va direttamente allo Stato).

LA TESORERIA Inoltre, non pochi problemi sta creando anche la creazione della Tesoreria unica. Ora, per qualsiasi pagamento si deve fare capo a Roma, mentre prima i Comuni potevano avere un minimo di autonomia e anticipare le risorse per i servizi sociali oppure per altre spese urgenti. Ora, non è più così e per i cittadini aumenta il disagio. Anche perché la somma che dalle banche sarde ha preso la strada di Roma, secondo i calcoli dell'Anci Sardegna, non è inferiore ai 900 milioni di euro. Una somma che peserà sui bilanci delle banche, creando comunque un danno all'economia dell'Isola.
Giuseppe Deiana

Da L'Unione Sarda del 25 maggio 2012

ROSSOMORI: Mai con l'Udc e il Psd'Az. …alleanze solo con i partiti italiani ?

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno venerdì 25 maggio 2012 alle ore 19.31 ·
 


Presa di posizione contro Sel. Proteste anche dalla minoranza interna dei vendoliani Melis (Rossomori): niente aperture a chi sostiene questa Giunta No ad alleanze con partiti che fanno parte della Giunta Cappellacci: lo ribadisce Salvatore Melis, neo segretario dei Rossomori, in una nota a commento delle voci di possibili intese «sovraniste» (col Psd'Az o addirittura con l'Udc) che vedano coinvolta Sel.

Il riferimento è alle ipotesi venute fuori da un recente convegno a Santa Giusta, con esponenti di quei tre partiti. «Meraviglia l'atteggiamento» dei vendoliani sardi, scrive Melis, che pur «non dando per scontate le notizie che girano tra blog e giornali» chiede: «Sel è parte del centrosinistra o sta costruendo un'altra cosa con Psd'Az e Udc?

Sono il Psd'Az e l'Udc che si spostano sulle tematiche di sinistra rappresentate da Sel, o è Sel che si sposta a destra?». Il leader dei Rossomori interroga però anche gli altri alleati: «Esiste ancora la coalizione di centrosinistra? Il Pd è il partito di maggioranza relativa, più degli altri ha la responsabilità di guidare il processo per la costruzione dell'alternativa al centrodestra, senza lasciare che altri assumano tale ruolo. Sarebbe opportuno conoscere la sua posizione» su questi fatti.

Da L'Unione Sarda del 25 maggio 2012

A MANCA PRO S'INDIPENDENTZIA: «I SARDI HANNO DIRITTO A RIBELLARSI»

 Al forum de L'Unione Sarda e Videolina sull'indipendentismo è il turno di a Manca pro s'Indipendentzia. Per Cristiano Sabino, portavoce del Movimento, il cambiamento è necessario per l'isola e i sardi hanno diritto a ribellarsi con gli strumenti della democrazia e aggregandosi.

GUARDA IL VIDEO ...

Comunali 2012 a Oristano: Dialogo con il candidato sindaco Pierluigi Annis (Aristanis Noa)


 

Tradizionalmente vicina a tutti i movimenti Sardi, per le Comunali 2012 U.R.N. Sardinnya dialoga con il dott. Pierluigi Annis, 42 anni, farmacista ed esponente di Federfarma, è il candidato sindaco di Oristano per la lista Aristanis Noa – Di Adriano Bomboi.
Il 10 e 11 giugno gli elettori saranno chiamati alle urne per il rinnovo dell’amministrazione comunale. Il vostro slogan supera la vecchia Oristano per fare spazio alla nuova Aristanis, che cosa significa?
“Una città muore quando non ricorda, cancella o confonde la propria storia”.
In questa frase, che è l’incipit del nostro programma, è racchiuso il significato del nostro slogan.
Oristano, è una città morta, lasciata morire in anni di mala amministrazione e incuria, utilizzata solo come trampolino di lancio per altri incarichi e ormai ignara della sua gloriosa storia. Solo dal ricordo di cosa siamo stati e cosa abbiamo rappresentato per tutta la Nazione Sarda, possiamo ripartire per costruire una città fondata su nuovi principi di cittadinanza.
Questa nuova città è Aristanis.
La storia e la cultura di un territorio stanno alla base dell’identità ma anche dell’industria turistica e commerciale di una comunità, cosa proponete per rilanciare il settore?
Noi di Aristanis Noa crediamo che oltre a provvedimenti spot per questa o quella categoria ci sia bisogno di una visione d’insieme che racchiuda i provvedimenti, una visione di cosa questa città debba diventare.
L’industria turistica si può sviluppare solo con una rete solida e basata su reciproca fiducia con i comuni del nostro territorio e ancora di più con tutti quelli che si affacciano sul mare, da Bosa a Terralba.
Il commercio di Aristanis è un settore che si svilupperà solo e soltanto quando la città verrà resa un luogo dove sarà bello abitare e far crescere i propri figli, e oltre allo sviluppo turistico si sarà dato un freno allo spopolamento del territorio.
Una delle idee forti del nostro programma è quella di dare nuova centralità istituzionale alla città con la previsione di un polo universitario moderno di eccellenza e non una mera succursale di altri atenei, anch’essi oramai carrozzoni politici che costano alla collettività più di quanto producano.
Prevediamo anche un Parco archeologico e l’apertura dei monumenti. La riqualificazione del giardino pubblico di via Solferino (dedicato alla Brigata Sassari) in un parco archeologico con la ricostruzione in scala dei maggiori siti nuragici della Sardegna; allo scopo di creare un nuovo centro educativo, che valorizzi la cultura sarda e avvicini i giovani alla storia e alla propria identità Sarda.
La nostra città porta in eredità la generosa dote di una Capitale Giudicale. A differenza delle ultime amministrazioni, che hanno ritenuto opportuno aprire i monumenti della città per un solo weekend all’anno, siamo fortemente convinti che questo tesoro debba essere reso accessibile tutto l’anno per mantenere vivo nei cittadini l’amore per la propria storia e arricchire l’offerta turistica della città.
Quali interventi per rilanciare Torregrande?
Torregrande è la più grande ed evidente incompiuta di Oristano, noi di Aristanis Noa valuteremo i progetti che sembra siano in fase di partenza e cercheremo di improntare lo sviluppo della marina tenendo conto delle varie esigenze abitative, di residenti, di abitanti di seconde case e vacanzieri giovani e famiglie.
Bisogna ripensare un piano particolareggiato che risponda a tutte queste esigenze, non credo sia una cosa estremamente complicata data l’estensione che Torregrande ha, dal porticciolo alla foce del fiume.
E’ più una questione di volontà politica.
Certo, ripeto ancora una volta, non si può pensare Torregrande avulsa dalla costa del Sinis e da tutto il territorio che la circonda.
Nel vostro programma avete sottolineato un aspetto fondamentale dell’economia oristanese: la logistica. Quanto può essere importante lo sviluppo di questo settore per le ricadute occupazionali del territorio?
Noi di Aristanis Noa pensiamo che la centralità territoriale di Oristano non sia solo uno slogan elettorale e che il porto industriale collegato attraverso le rotaie all’aeroporto sarà la chiave di volta per incentivare la logistica utilizzando anche la leva fiscale per rendere più veloce questo processo.
Certo è che se carrozzoni come il consorzio industriale e i politici del territorio eletti in Regione continueranno a non lavorare o a lavorare contro, ci vorrà una presa di posizione forte come mai lo è stata per ottenere quei diritti che una legge del 1998 sanciva, l’indicazione del porto di Oristano come una delle zone franche portuali.
Se volete farvi due risate andate sul sito del consorzio industriale di Oristano e gustatevi l’home page, una favola raccontata senza imbarazzi.

CONTINUA A LEGGERE ...

A MANCA PRO S'INDIPENDENTZIA: Attenti, l'Isola esplode ...l'unica via d'uscita è l'indipendenza

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno venerdì 25 maggio 2012 alle ore 13.17 ·
 



Il portavoce di “A manca”: le tensioni sociali rendono la Sardegna una pentola a pressione, l'unica via d'uscita è l'indipendenza

«La Sardegna è una pentola a pressione. Ribolle di tensioni sociali». E come il vapore nella pentola, le aspirazioni dei sardi cercano vie d'uscita: secondo Cristiano Sabino, l'indipendenza è la via giusta. Nell'ultima puntata dei forum dell'Unione Sarda e Videolina, il portavoce di A manca pro s'indipendentzia espone la sua teoria: il cammino di liberazione dell'Isola, dice replicando ad altri leader della stessa area politica, non passa dalle alleanze con i partiti italiani. E neppure dal referendum proposto da Doddore Meloni: «Ci sembra una fuga in avanti», riflette Sabino. «Sarebbe una prospettiva interessante, ma alla fine di un percorso. In Scozia l'Snp ha il 50% dei voti, ma si è rifiutato di votare già nel 2012 per staccarsi da Londra».

Farlo adesso, qui, danneggerebbe le vostre battaglie?
«Temo di sì. L'indipendentismo ha fatto passi da gigante, ma reggerebbe una cosa simile? Ci vuole un'altra preparazione».

Ma se il referendum si farà, andrete a votare?
«Affrontiamo i problemi quando si pongono. Per ora dico che c'è il rischio di bruciare uno strumento utile, se non hai alle spalle un radicamento culturale delle tue idee».

Eppure sembra che oggi tutti parlino di questi temi.
«Vedo due approcci distinti: quello formale considera l'indipendentismo solo come una nuova forma giuridica, un passaggio di consegne tra governi. Per me invece è un processo storico di liberazione di energie. Economiche e sociali».

Esistono davvero, in Sardegna, queste energie?
«Sì. La Sardegna è come imprigionata, bloccata dalla dipendenza economica».

Le ricerche dell'ateneo di Cagliari rivelano forti sentimenti identitari. Stupito?
«No, i sardi nei momenti di crisi hanno sempre reagito riscoprendo le loro radici. Dal tempo dei giudicati fino al sardismo, dopo la prima guerra mondiale. Il problema è trasformare un sentimento diffuso in progetto politico. Molti pensano che, poiché c'è questo sentimento, i sardi voteranno indipendentista. Ma la storia non dice così».

E cosa dice?
«Gli ideali illuministi nascono nel '700, ma la rivoluzione francese arriva solo a fine secolo. Prima si sperava nel dispotismo illuminato. Oggi i sardi si stanno riscoprendo sardi, ma hanno ancora fiducia che i partiti italiani risolvano i loro problemi. Gramsci diceva: il vecchio sta morendo e il nuovo non può nascere. In questo spazio nascono i fenomeni più morbosi e terribili».

A cosa allude?
«A fenomeni ibridi. Forme di semi-indipendentismo».

Intende dire che nell'attenzione di tanti partiti ai temi dell'autogoverno c'è una forte dose di opportunismo?
«Sì. Non metto in dubbio la buona fede. Ma parlare di sovranità senza indipendenza lo trovo un assurdo logico, giuridico e storico».

La sovranità è il nuovo slogan di indipendentisti come Gavino Sale e Claudia Zuncheddu.
«La sovranità si ha quando c'è uno Stato. Lo ha detto anche la Corte costituzionale, bocciando la legge sarda sulla Consulta statutaria: autonomia e sovranità sono concetti opposti, dialettici».

Oggi l'indipendentismo non è maggioritario. Perciò si immagina un avvicinamento graduale, basato su “segmenti di sovranità”.
«Va bene la gradualità. Ma quella strategia non la capisco. Se tutti vogliono i nuovi spazi di sovranità, da Cappellacci a Soru, perché non li creano? Perché è impossibile. Mi sembra una strategia impalpabile».

Quindi voi escludete alleanze con i partiti italiani?
«Nella maniera più assoluta. La nostra strategia è solo la Convergenza nazionale indipendentista».

La Convergenza non è partita benissimo.
«Però è partita. Ed è una novità. Varie sigle hanno lavorato per un anno, lontano da scadenze elettorali, producendo una carta che è il dna, il codice genetico dell'indipendentismo. Valori condivisi e proposte».

È un cartello elettorale?
«Si vedrà. Diciamo che siamo disposti a ragionare con chiunque accetti quei valori e quelle proposte. Che non sono solo di A manca. Noi siamo un partito socialista, molto orientato su questioni di classe. Sono sicuro che se mi siedo con Sel a discutere un concetto di nazione non siamo d'accordo».

Proprio Sel ha proposto l'alleanza “sovranista”.
«Sì, ma loro accolgono Napolitano col tricolore inneggiando al Risorgimento. Noi gli avremmo chiesto semmai perché non ci restituisce i soldi che ci deve».

E del Psd'Az, ritornato a posizioni nettamente indipendentiste, cosa pensa?
«La storia dei sardisti è abbastanza noiosa: parte indipendentista, ricade nell'unionismo, recupera l'indipendentismo, ricade ancora. È ciclica».

Quindi nessun entusiasmo per il loro ordine del giorno, approvato dal Consiglio regionale, sulle ragioni della permanenza della Sardegna nella Repubblica italiana?
«È un segno dei tempi. Non parlerei di entusiasmo, ma è un testo interessante. Apre nuovi scenari. Ma non crediamo che dalle stanze dei partiti che l'hanno votato possa venire la libertà. Col Psd'Az può esserci dialogo se interrompe la connivenza con i partiti coloniali. Tutti, però. Non è che se si passa da Berlusconi a Vendola si è meno coloniali».

Allora il suo giudizio sarà negativo su tutte le Giunte regionali, di entrambi i poli.
«È così. Anche se è vero che ci sono delle differenze, almeno tra le persone».

Ha votato ai referendum del 6 maggio? Secondo Bustianu Cumpostu, cancellare le Province è stata una vittoria indipendentista.
«Non ho votato. Non erano referendum anticasta: Vargiu e i Riformatori sono proprio la casta. Portare a 50 i consiglieri regionali riduce gli spazi di democrazia, dà potere alla piccolissima cerchia di chi si può comprare l'elezione».

E le Province?
«Non si poteva abolirle senza un'alternativa. I referendari stanno in Consiglio regionale: perché non hanno fatto le riforme, invece che spendere soldi per i referendum? Noi, quando ci candidammo alla Regione, proponemmo di ridurre gli stipendi dei consiglieri a 2.000 euro. Così sì, che si tagliano i costi della politica».

Nel passato di “A manca” ci sono arresti, accuse di terrorismo. Come li valuta?
«È normale che uno Stato reagisca con violenza a un progetto di liberazione di una terra col 70% delle basi militari italiane, poligoni per cui lo Stato incassa canoni dalle altre nazioni. Logico che, si cerchi di demonizzare un movimento poco disponibile al compromesso».

Condividete il no all'uso della violenza per affermare l'indipendentismo?
«I popoli hanno diritto a resistere e ribellarsi. Detto questo, abbiamo detto chiaramente che la nostra lotta si svolge alla luce del sole. In A manca non c'è mai stato neppure un dibattito sull'uso della lotta violenta. Vogliamo essere una forza popolare, non una nicchia di carbonari, e usare gli spazi democratici, fin quando esistono. Altri popoli hanno fatto altre scelte, legittime, che poi magari hanno rivisto».

Quando vi si dipinge come semiterroristi, vi dà fastidio?
«Ci lascia completamente indifferenti».

Da L'Unione sarda del 25 maggio 2012

Foto di Alessio Niccolai

A MANCA PRO S'INDIPENDENTZIA - CRISTIANO SABINO: ...indipendenza non è sinonimo di solitudine

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno venerdì 25 maggio 2012 alle ore 12.38 ·
 



LE PROPOSTE PER LO SVILUPPO: INDUSTRIA, ARTIGIANATO, SCUOLA E CULTURA

Cristiano Sabino, perché governandosi da sola la Sardegna dovrebbe fare meglio?
«Sfatiamo un tabù: indipendenza non è sinonimo di solitudine. Nessuno Stato vive isolato. Il problema è poter prendere le nostre decisioni economiche».

Chi ce lo vieta?
«Siamo condizionati da un piano economico non deciso qui, e neppure in Italia».

Non amate l'Ue, vero?
«Mai stati europeisti, mai creduto nell'euro. E poi è sconsigliabile entrare in una casa che sta crollando. Come si può essere indipendentisti ed europeisti? Da piccolo ho visto mio nonno espiantare la vigna perché lo diceva la Cee».

C'erano agevolazioni.
«Sì, per non produrre. Bell'aiuto all'economia. Solo per tutelare i vini francesi. Guardiamo invece al Mediterraneo, alla Corsica. Nell'Europa non avremmo ruolo, quasi tutte le decisioni di Bruxelles ci danneggiano».

Invece se decide il ceto politico sardo va tutto bene?
«Beh, quello che abbiamo non è un ceto sardo. È espressione diretta di quello italiano. Pd e Pdl, quando hanno un problema, chiamano il podestà, il commissario».

Se la Sardegna dovesse basarsi solo sulla sua fiscalità, secondo alcuni calcoli mancherebbero molti miliardi di euro per mantenere gli attuali servizi pubblici.
«Quanto a servizi, lo Stato italiano se ne sta già andando dalla Sardegna. Dovremo fare da soli. A partire dall'agenzia delle entrate».

Come dice il Fiocco verde?
«Sì, ma ridisegnando anche le aliquote. Oggi un artigiano sardo paga tanto, perché gli studi di settore sono disegnati per Milano».

Torniamo a quei calcoli.
«Io non li ho fatti, ma Stati molto più piccoli della Sardegna gestiscono bene scuole, sanità e tutto il resto. E poi ci sono i soldi che lo Stato non versa alla Regione».

Però lo Stato realizza anche infrastrutture.
«Sì, le carceri. Fatta 100 la media degli investimenti per infrastrutture in Italia, la Sardegna si ferma alla metà in tutti i settori: arriva al 220% solo per i penitenziari. Progetti blindati, noi non possiamo metterci becco. Anche la manodopera è esterna».

Voi quale modello di sviluppo auspicate?
«La sovranità alimentare è uno dei punti cruciali. Siamo contro la grande distribuzione, e sosteniamo la lotta dei pastori per i mattatoi zonali: consentendo di vendere la carne in filiera corta, i mercati rionali abbasserebbero i prezzi e i consumatori avrebbero carne di qualità a costi ragionevoli. Un'altra proposta concreta è il polo di sovranità economica a Nuoro».

Di che si tratta?
«Di una battaglia di A manca: anziché una nuova caserma costruita su terreni civici con 12 milioni di euro dirottati dalle scuole, chiediamo di utilizzare le risorse per strutture che ospitino prodotti tipici e biologici, macchine agricole, punti di ristoro, seminari di formazione sulla sovranità alimentare. Questo potrebbe dare posti di lavoro a Nuoro, non un po' di soldati che vanno al bar per il cappuccino».

Altri cardini della futura economia sarda?
«L'artigianato. Quello sardo è tra i più ricchi al mondo perché lavora tutti i materiali, dall'oro ai cestini. Soru ha abolito l'Isola, che in effetti era un carrozzone: ma dopo sono venuti progetti manageriali costosi che non hanno portato niente agli artigiani veri. È un settore in totale abbandono».

Qual è la vostra posizione sull'industria?
«Senza industria un popolo muore. Il problema è quale. Anche qui: dobbiamo decidere noi. I Paesi ricchi sono quelli che trasformano le materie prime. Noi lavoriamo solo quelle inquinanti. Abbiamo sabbie silicee di ottima qualità: la classe politica non ha mai pensato di lavorarle qui, di utilizzare i contributi per quello anziché per mantenere poli in crisi».

È contro la chimica verde?
«Abbiamo elementi per dire che sarà un inceneritore. Speriamo di sbagliarci. Ma non si può convertire tutta la produzione agricola a cardi geneticamente modificati».

E sul gasdotto Galsi?
«Totalmente contrari. È una nuova servitù energetica. E una truffa: a chi giova? Non è previsto un piano di metanizzazione dell'Isola. Si dice che la rete costerà 4 miliardi, ma nessuno li ha finanziati».

Col tubo arriva il metano, colmando una lacuna storica. La rete interna si può fare anche dopo.
«Vent'anni fa Angelo Caria, un indipendentista, invocava il metano. Ma allora aveva senso. Ora in Algeria sono previste scorte per pochi anni: il Galsi doveva essere già finito e ancora non è partito, nel frattempo finiscono le risorse. Avremo tutta la rete quando non ci sarà più il metano».

Il tubo potrebbe funzionare anche nel senso inverso.
«Non è scritto da nessuna parte. In ogni caso, non abbiamo deciso noi. È un affare per il gruppo Hera, grande azienda dell'energia in odore di Pd, fatta dalle municipalizzate emiliane. A loro conviene, hanno il gas e non la servitù di passaggio. È un favore ai comuni emiliani e al Pd».

Alternative energetiche?
«Intanto smetterla di ragionare su monopoli che costruiscono dipendenza. Hanno ragione i pastori, chiedono di dotare ogni azienda di piattaforme energetiche autonome, fotovoltaiche o di mini-eolico. Non costerebbe più di 150 milioni di euro, quelli previsti per la legge sul golf».

L'indipendentismo spesso è ambientalista, e agli ambientalisti non piace l'eolico.
«Io non mi definisco ambientalista. Non sono contrario all'eolico ma a questo eolico, che conviene solo alle multinazionali. E vale anche per il solare. Fanno campi eolici e fotovoltaici non per produrre energia ma per i certificati verdi, noi sardi non siamo padroni di quello che produciamo. Eppure abbiamo competenze, ingegneri. Spesso costretti a emigrare».

A proposito: che idee avete per l'istruzione?
«In due anni la scuola ha perso 5.738 posti di lavoro, l'8% in meno, il tasso più alto d'Italia. Sproporzionato, perché il calo degli studenti è del 2,26%. E poi tagliare la scuola in un quartiere di Milano o in un paesino isolato non è lo stesso. Non è solo un fatto culturale: incide sul lavoro. In Sardegna il 32,6% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni non fa niente: non lavora e non studia. In Europa la media è del 15%».

Le vostre proposte?
«Investire, difendere le scuole, non valutarle come aziende. E poi rendere la scuola un luogo di formazione al lavoro. Soprattutto, sardizzare la scuola e l'università, che falliscono perché sembrano marziani caduti sulla terra».

Cosa significa sardizzare?
«Copiare chi ha scuole di eccellenza. I programmi ministeriali non sono più intoccabili, in Trentino il 25% è legato a lingua e cultura locali. Poi c'è il tema del patrimonio archeologico: abbiamo 8-10 mila nuraghi, per non parlare del resto, ma danno lavoro a non più di 30 cooperative di giovani».

E sulla limba?
 «Quasi il 98% dei sardi parla o capisce il sardo. Utilizziamo questo dato per creare lavoro. Noi proponiamo un principio di “discriminazione positiva”: a parità di curriculum, si dia lavoro a chi ha raggiunto un livello B2 di sardo, che è un livello alla portata anche di chi non è sardofono».

Da L'Unione Sarda del 25 maggio 2012

BUSTIANU CUMPOSTU "SARDIGNA NATZIONE INDIPENDENTZIA"



Intervento di BUSTIANU CUMPOSTU coordinatore di SARDIGNA NATZIONE INDIPENDENTZIA
in un convengo sulle servitù militari (AMBIENTE SALUTE GIUSTIZIA..... QUIRRA UN CASO EMBLEMATICO)
a Sassari Martedi 22 Maggio alle ore 16:00 presso l'aula magna centrale di Piazza Università con una partecipazione popolare
da record......... una giornata storica!!

SU COMITADU PRO SA LIMBA SARDA, bene la notifica messa in mora lo Stato italiano in lingua sarda


pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno giovedì 24 maggio 2012 alle ore 23.42 ·
 


Su comitadu pro sa limba sarda "plaude all'iniziativa del Presidente della Regione sarda Ugo Cappellacci di scrivere in sardo, lingua della Nazione sarda, al Presidente Monti, la lettera di diffida e messa in mora successivamente all'abbandono del tavolo sul federalismo". Lo dice all'Adnkronos Mario Carboni, portavoce di Su Comidadu pro sa limba sarda (Comitato per la lingua sarda), in merito alla decisione del presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, di inviare al governo la diffida e la messa in mora sulla vertenza entrate in italiano e in lingua sarda.
Il comitato coglie l'occasione "per denunciare con forza la discriminazione in corso di attuazione, nella Commissione esteri della Camera, nei riguardi della Nazione sarda e dei suoi diritti di minoranza linguistica, che ha approvato senza emendamenti il disegno di legge governativo per la ratifica della Carta europea delle lingue minoritarie".

"Il disegno di legge governativo - spiega Carboni - discrimina gravemente la lingua sarda, non riconoscendo totalmente i suoi diritti per l'insegnamento, la giustizia e i media, considerandola una linguadi serie B rispetto alle lingue del Sud Tirolo, Trentino, Val d'Aosta e allo Sloveno, tutte lingue garantite da trattati internazionali.

Cio' significa che la stessa Autonomia speciale sarda e' considerata di serie B, come appunto dimostra il comportamento Governativo in sede di confronto sul federalismo e fiscalita"'.
Su Comitadu pro sa limba sarda, sostiene che la questione linguistica "e' l'indicatore piu' importante della Questione sarda e' invita il Presidente Cappellacci, in quanto piu' alto rappresentante del Popolo sardo a denunciare il comportamento governativo teso a non applicare come dovuto la Carta europea delle lingue minoritarie per la lingua sarda riducendo anche le tutele gia' conquistate, a rigettare il testo della ratifica, a chiedere un confronto Stato-Regione sul tema, a inoltrare formale protesta al Consiglio d'Europa per violazione dell'Accordo quadro sulle minoranze nazionali e della lettera e dello spirito della Carta europea delle lingue".

Carboni spiega che il comitato "chiede anche che sia formalizzato un tavolo Regione-Sardegna per trattare esclusivamente il contenzioso linguistico, l'insegnamento nelle scuole e l'uso della lingua sarda nei tribunali e nei media.

Nel contempo Su comitadu pro sa limba sarda sollecita i parlamentari sardi, i consiglieri regionali, le forze politiche, sociali e culturali sarde ad essere unite in questa battaglia - conclude -, base per ogni speranza di sovranita' della Sardegna".

Da L.Q.it del 24 maggio 2012

D. Fiordalisi - Sassari 22-05-12 su Quirra.MOV

 

 SU PROCURADORE MINICU FIORDALISI - FAEDDAT DE QUIRRA - POLIGONU MILITARE UMBE BENINT PROVADAS SAS ARMAS A URANIU IMPOBERIDU E A ATEROS MATERIALES LIBADORES DE SA TZENTE E DE SA TERRA SARDA - S'ITALIA EST CUSSUMANDE SA SARDIGNA, SA MAMA TERRA NOSTRA

Aurora Pigliapochi su Monitor "Fratelli D'Equitalia"

GUARDA IL VIDEO

Metanodotto Sardegna-Algeria, il fronte del ‘no’ boccia il progetto: «Inutile»


 



                                        giovedì, 24 maggio 2012
 
 
 


La Sardegna sarà percorsa da un tubo lungo 272 chilometri. Lo prevede il progetto GALSI, il gasdotto Algeria-Italia via Sardegna, che dovrebbe portare il gas nelle case dei sardi. Ma non tutti sono d’accordo con il progetto, da tempo infatti è nato il fronte del no: secondo i contrari mancherebbe un piano per la costruzione delle “bretelle” per collegare i Comuni della Sardegna con l’arteria principale che trasporterà il metano.

CAGLIARI -  Il piano di metanizzazione del mezzogiorno è degli anni 80, ma ancora oggi il sistema energetico sardo è dipendente dal petrolio (77%) e dal carbone(19%). Tutta la penisola italiana è dotata di gasdotti che consentono l’approvvigionamento del gas, sia per l’uso domestico, sia per adoperarlo in campo industriale. La mancanza di un metanodotto in Sardegna è uno dei motivi che ha causato l’innalzamento del prezzo del gpl, al momento unico gas a disposizione nell’isola. Si parla di un’impennata del prezzo fino a 15 euro, rispetto agli altri abitanti nelle varie zone d’Italia. Per aver la certezza, basta fare una breve ricerca: a Roma una bombola di Gpl da 15 chili costa 24 euro circa, contro i 34-36 euro per quanto riguarda Cagliari. Un’altra causa è prettamente economica: la mancanza di un gasdotto ha permesso alle società che gestiscono il gas di far cartello e imporre un prezzo più alto della media. Società come Butangas e Liquigas sono state sanzionate nel 2010 dall’Antitrust per aver creato un oligopolio a danno dei consumatori finali.
Progetto GALSI. Il progetto che dovrebbe risolvere definitivamente il problema energetico si chiama Galsi e nasce da un accordo stipulato nel 2001 tra Algeria e Italia, con l’intento fondamentale di “metanizzare” la regione e creare un collegamento diretto con la penisola italiana. Diversi partiti politici sardi si sono schierati a favore del progetto, ritenendolo un’opportunità per Comuni, centri storici, artigianato, consorzi industriali e per le industrie energivore sarde. In sintesi secondo la politica, dando il via alla costruzione del metanodotto si risolverebbe il grave problema in materia di energia della Sardegna, e cioè quello di dipendere unicamente da un'unica fonte primaria.
Viaggio del metanodotto e dati tecnici. La Galsi S.p.a. è finanziata da cinque soci: Sonatrach (41%), Edison (20%), Enel (15%), SFIRS (11%, controllata dalla Regione Sardegna) e Gruppo Hera (10%). Il percorso del Galsi, comincerà nella stazione di compressione di Koudiet Draouche in Algeria. Da lì il gas verrà canalizzato in un tubo che percorrerà il mare, fino ad arrivare in Sardegna, in località Porto Botte. Il gas passerà poi via terra percorrendo tutta la Sardegna fino a Olbia, nei territori di circa 40 comuni. Da Olbia il gasdotto si ributterà in mare fino a Piombino in Toscana, allacciandosi alla rete gas nazionale.
Sarà lungo 272Km e posato 3 metri sotto terra, con una capienza di 8 miliardi di metri cubi all’anno. Ci sarà una messa in sicurezza minima obbligatoria di 40 metri sia a destra che a sinistra del tubo, quindi più di 2000 ettari di terra saranno considerati servitù di passaggio. Il sito Galsi insieme all’AIEE(Associazione Italiana Economisti per l'Energia) assicurano che la costruzione del gasdotto “significherà un abbattimento delle bollette energetiche, con risparmi del 30-40% per le famiglie e per le imprese sarde”.
Il fronte dei NoGalsi. Ma c’è chi si è mobilitato concretamente contro questo progetto, ritenendolo inutile e con il solo intento speculativo, soprattutto dannoso per l’ambiente. Oltre al gruppo politico degli Indipendentistas, fortemente contro il Galsi, semplici cittadini hanno esaminato e studiato i prospetti e hanno deciso di formare gruppi e comitati per informare la popolazione: «Quello che ci rammarica di più – spiega Sergio Diana del comitato ‘ProSardegnaNoGasdotto’ – è che i politici sardi non hanno a cuore gli interessi della Sardegna. Noi abbiamo letto il progetto, con l’aiuto di biologi, ingegneri, avvocati. Quello che stanno cercando di costruire in 2 anni è un mostro di 4 miliardi di euro».
Nel sito Galsi.com si legge: La Regione Sardegna direttamente ed attraverso la SFIRS, che è azionista del consorzio Galsi, si è impegnata per garantire che la realizzazione delle reti di gas locali e le interconnessioni alla dorsale Galsi siano ultimate parallelamente alla messa in funzione del metanodotto per consentire agli utenti sardi di beneficiare del metano non appena sarà disponibile.
«E’ proprio questa la beffa - continua Sergio Diana - al di là di un danno ambientale, non esiste nessun progetto per la creazione delle bretelle che consentano il collegamento alle 38 reti cittadine sarde. Queste bretelle, ci tengo a precisarlo, costano quanto l’intero progetto Galsi. La Sardegna quindi sarà solo una servitù di passaggio e non avrà il gas. Ci hanno promesso che le bretelle verranno costruite parallelamente con i lavori del gasdotto. Impossibile, visto che non c’è l’idea di progettarle».

CONTINUA A LEGGERE ...

L’APPELLO DELLA PRESIDENTE DEL FAI:«SALVATE LE TERRE DEI PASTORI SARDI»

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno giovedì 24 maggio 2012 alle ore 19.15 ·
 



«Salvate i pastori e gli agricoltori sardi e votate le loro terre », l'appello arriva da Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente onorario Fai. Quel Fondo ambiente italiano che ieri a Milano ha lanciato la sesta edizione de “I luoghi del cuore”, censimento che si realizzerà con le segnalazioni di italiani e stranieri su quelle parti d'Italia che si sono trasformate da posto concreto a spazio dello spirito. E come un vero e proprio “coupe de theatre” a tenere banco alla scintillante e molto formale presentazione nel bel palazzotto di via Monte di Pietà, tra gli interventi del presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo (Giovanni Bazoli), della suobrette Michelle Hunziker e del presidente del Fai (Ilaria Borletti Buitoni), la lotta dei pastori sardi.

«Il mio luogo del cuore? Le terre di Sardegna», ha così esordito battagliera la Mozzoni Crespi.

«Nessuno di voi, o molto pochi, sa di cosa sto parlando, vero?
I giornali nazionali nascondono alcune notizie e altre le sbattono in prima pagina, la logica non mi piace e questa consuetudine non ha portato lontano l'editoria nazionale. Non ho una goccia di sangue isolano, eppure mi sento sarda, l'Isola fa parte del mio dentro. E allora chiedo a tutti coloro che vorranno partecipare a questo censimento di votare i territori dove l'agricoltura e la pastorizia rischiano di morire a causa di una svendita istituzionalizzata».

Svendita, chiama l'annosa questione della Legge 44, il presidente onorario Fai. La legge che nel lontano 1988 ha fatto in modo che decine di migliaia di allevatori e agricoltori sardi accedessero a mutui agevolatissimi per comprare macchinari, riparare stalle e ovili o altri tipi di interventi per le loro aziende. E così, per voce di una anziana signora, ambientalista ante litteram, infaticabile animatrice della vita culturale italiana, la lotta dei pastori sardi entra con prepotenza nei palazzi milanesi, quelli che contano, quelli della finanza caritatevole.
La loro storia non chiede permesso e fa irruzione nella sala dell'Ottocento a Ca' de Sass.

«È la storia di prestiti che si sono trasformati in milioni di debiti con le banche, all'epoca una manna per tutti, oggi una disgrazia. Ne ho parlato anche con il ministro Passera», insiste la Mozzoni Crespi. «Ma il sogno svanisce – continua - quando nel 1997 ’lUnione Europea giudica quella legge incostituzionale, oggi la Regione Sardegna chiede ai lavoratori la restituzione dei soldi». Parla con il cuore di sofferenza e pezzi di tradizioni in fumo.

«L'Italia deve sapere che un'intera economia rischia di morire, dobbiamo raccontare a tutti dei pignoramenti, delle aste, delle speculazioni indecenti e immorali che interessano circa 200 aziende agricole. Ho visto filmati, foto di interi greggi prelevati, mandrie e pastori cacciati dalle loro terre, terre che finiranno in mano agli speculatori.

Raccontate quello che succede in una regione di questo Stato. Raccontate quello che rischia una cultura intera.

E quando parlo di cultura parlo di luoghi da proteggere, angoli dove ci sono specialità storiche e unicità gastronomiche che rischiano di diventare solo famosi per le villette a schiera, per le attrazioni di un turismo dozzinale e per i villaggi “only inclusive”.

Ora il paesaggio è in pericolo, paesaggio che vuol dire futuro e occupazione, occupazione che può rinascere con un turismo che salvaguardi l'ambiente. L'anno venturo si voterà, spero che si voti non badando agli interessi di parte, ma al bene comune.

Di questa tragedia sarda nessuno fuori dall'Isola è cosciente.
È la prima campagna internazionale in 37 anni di storia del Fai, che chiede al mondo un gesto d'amore per l'Italia, un gesto di fiducia per gli italiani. E io chiedo di votare le terre sarde». Il mondo ha sempre scelto l'Italia come luogo del cuore. E tu?”, recita lo slogan dello spot in cui l'associazione chiede di votare fino al 31 ottobre il proprio angolo magico: spiaggia, chiesa o borgo che si vuole proteggere. E quest'anno, al posto degli Eremi di Pulsano a Monte Sant'Angelo, della chiesa di Santa Caterina a Lucca, dell'Arco Bollani a Udine, potrebbe entrare a far parte della lista, la battaglia degli allevatori.

Da Sardegna Quotidiano del 24 maggio 2012

VERTENZE ENTRATE: REGIONE SARDEGNA, VIE LEGALI CONTRO IL GOVERNO ITALIANO ANCHE IN “LIMBA SARDA”

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno giovedì 24 maggio 2012 alle ore 18.53 ·
 



La diffida e la messa in mora al Governo Monti sulla vertenza entrate e' stata inviata in due lingue al presidente del Consiglio: in italiano e in limba sarda.

Lo annuncia il presidente della Regione, Ugo Cappellacci, che stamane ha abbandonato l'insediamento del tavolo sul federalismo e che ha preannunciato al ministro Gnudi l'arrivo dell'ufficiale giudiziario a Palazzo Chigi.

''Da questo momento - ha aggiunto il presidente - le nostre comunicazioni con l'Esecutivo saranno scritte sia in italiano che nella lingua dei nostri avi.
Vogliamo ribadire cosi' il nostro orgoglio e la nostra identita' sarda: quella di un popolo con storia, tradizioni, cultura e lingue proprie.

Il nostro non e' un piagnisteo assistenzialista, ma e' la rivendicazione di rispetto, di pari dignita, di cio' che spetta di diritto alla nostra isola. Vogliamo perseguire la via dello sviluppo con progetti che abbiano origine in Sardegna, rispettosi dei nostri valori e del nostro immenso patrimonio ambientale e paesaggistico, ma dobbiamo essere messi nelle condizioni di farlo.

Nel corso della storia - ha concluso Cappellacci - tutte le volte che l'Italia ha chiamato, la Sardegna ha risposto e ha dato il suo contributo. Purtroppo non possiamo dire che a parti invertite sia accaduto lo stesso''.

Da Asqn del 24 maggio 2012

DEPUTATI SARDI CHE “REGALANO” I NOSTRI SOLDI AI PARTITI …ECCO I NOMI

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno giovedì 24 maggio 2012 alle ore 12.02 ·

MAURO PILI del PDL, ma anche AMALIA SCHIRRU del PD. La “soriana” CATERINA PES del PD, ma anche CARMELO PORCU - PDL. Poi ecco spuntare anche GUIDO MELIS PD, e BRUNO MURGIA PDL. E ancora ANTONIO MEREU dell’UDC, SIRO MARROCU del PD.


AMALIA SCHIRRU - PD
MAURO PILI - PDL






  










CATERINA PES - PD
CARMELO PORCU - PDL
















GUIDO MELIS - PD
BRUNO MURGIA - PDL
















ANTONIO MEREU - UDC
SIRO MARROCU - PD















Sono solo alcuni dei deputati, in questo caso quelli sardi, che hanno votato contro l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Cioè mentre noi cittadini ci arrabattiamo a cercare un lavoro, abbiamo tra un mese l’Imu da pagare e lo spettro delle tasse che incombe, loro proteggono ancora una volta i loro introiti rigorosamente pubblici. L’elenco è stato appena pubblicato dal sito Violapost.it, e tra gli altri eroi che hanno difeso i propri soldi ci sono Mara Carfagna, Massimo D’Alema, Italo Bocchino, Pierluigi Bersani, Walter Veltroni, Lorenzo Cesa.

L’elenco sarebbe sin troppo lungo: in tutto sono stati ben 412, i parlamentari che hanno cancellato con un colpo di spugna quel referendum che votammo nel 1993. Era piena epoca Tangentopoli, alle urne gli italiani si dichiararono contro i soldi pubblici elargiti alle forze politiche.

Pd, Udc e Pdl, ovvero i partiti più potenti, sono quelli che hanno votato il salvataggio dei cosiddetti “rimborsi elettorali”. Che poi, come insegnano le recenti vicende della Lega, sono tutto tranne che semplici rimborsi. Ma i politici avrebbero mai potuto votare contro se stessi? Non sorprende più di tanto allora la proiezione che vede il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo oggi al secondo posto in Italia con oltre il 15 per cento dei consensi.

La vena conservatrice della casta è infinita: anche in Sardegna, sulla sorte delle province si sta realizzando un duello all’ultimo sangue e soprattutto all’ultima poltrona da difendere strenuamente. In questo caso però il web significa trasparenza: i nodi vengono subito al pettine, in un attimo la Rete catapulta le tue azioni sotto gli occhi di tutti.

Quei parlamentari sardi che votano per dare i nostri risparmi ai partiti forse non hanno pensato neanche un attimo che sotto il consiglio regionale ogni giorno c’è una manifestazione di protesta, che un giovane su tre in Sardegna ha perso anche solo la speranza di avere un lavoro.

Che le imprese falliscono una dopo l’altra insieme ai negozi. Hanno bocciato invece gli emendamenti taglia-risorse a partiti che non rappresentano più gli ideali della gente, che si sente tradita e vota Grillo per disperazione e per protesta. Non c’è più fiducia nella politica e sono soprattutto i giovani a reagire scendendo in campo con rabbia sui social network.

Per il futuro, annotiamoci questi nomi: ce ne ricorderemo quando li rivedremo sui manifesti a chiedere il nostro voto. In fondo le elezioni politiche nazionali sono esattamente tra un anno.
(Veleno Parlante)

Da Casteddu online del 24 maggio 2012

CONTRIBUTI ALLA PASTORIZIA: TECNICI SEDUTI A ROMA GESTISCONO IN MODO ANOMALO I DATI DEL TERRITORIO SARDO, IL TUTTO A DISCAPITO DEGLI ALLEVATORI SARDI

Il grande furto dell’Agea a danno dei pastori

23 maggio 2012 21 commenti
sl0869Anche io ho le mie colpe. Pensate che quando Andrea Prato era Assessore all’Agricoltura, organizzai un convegno alla sua presenza, a Silanus. Non lo rifarei, per tante ragioni che adesso sarebbe lungo spiegare. In quella occasione, uno dei relatori,  mise in evidenza, e la sua relazione è agli atti, i rischi derivanti per i pastori sardi dall’applicazione ai loro campi, da parte dell’Agea, di codici di pascolamento non adatti alla specificità del territorio sardo.
I codici di pascolamento sono i codici di utilizzo del suolo dichiarati dall’allevatore al momento in cui presenta la domanda unica ( termine appena scaduto il 15 maggio). Tutti i nostri allevatori/ agricoltori, tramite i loro centri di assistenza agricola ( CAA) o in proprio, hanno presentano la domanda ad AGEA per i premi comunitari (domanda unica di pagamento).
Al momento della presentazione della domanda è obbligatorio dichiarare i fondi dell’azienda agricola. Si devono quindi dichiarare le singole particelle condotte e il titolo di conduzione per ciascuna di esse. Per ogni singola particella viene indicata sia la superficie catastale complessiva che la superficie utile ( SAU o Superficie Agricola Utile o Superficie Agricola Utilizzata ). E ora arrivano le cattive notizie.
La Sau viene ricavata dall’agricoltore in base alle indicazioni fornitegli dal CAA oppure in base a stime che lui stesso fa dei suoi fondi. In termini generali, si può dire  che egli elimina tutte quelle superfici che ritiene tare “quindi non pascolabili” e calcola cosi la SAU. Questa SAU viene calcolata pure dai tecnici dell’AGEA ( che di solito operano in questo campo tramite il SIN o sue consociate, il grande pozzo nero italico di cui ho già parlato in un altro post). Questi tecnici forniti di Ortofoto ( Foto Aeree) si piazzano a Roma o nei loro uffici periferici sui loro computer di ultima generazione e fanno la cosiddetta ‘Fotointerpretazione’ (se volete, mettete un’altra ‘t’ a ‘Foto’ e avete più chiaro il senso dell’operazione) delle particelle rilevate mediante le Ortofoto. Così facendo, seguendo scrupolosamente un manuale delle procedure, attribuiscono ai territori sardi la SAU, cioè stabiliscono a tavolino, su indicazioni di foto aree e con l’utilizzo di  appositi manuali gestionali, i codici di uso del suolo dei nostri territori.
In burocratese, i campi sono chiamati ‘prodotti’, per es.: prodotto 063 = Pascolo polifita ( tipo alpeggi ) con roccia affiorante al 20%; prodotto 654 = Pascolo con tara 50% ecc. ecc.
Si potrebbe continuare all’infinito, ma il dato importante è che non esiste un codice denominato: Pascolo tipo sardo. L’Unità d’Italia del Presidente Napolitano non arriva ai codici Agea. L’europeismo del Presidente Monti, omogeneizza i codici e anche la Sardegna, senza le Alpi, ha i pascoli alpini: per legge.
Successivamente, il funzionario Agea lega il piano colturale al tipo di allevamento, anche in questo caso seguendo un manuale gestionale che adesso non riassumo.
Dove sta il problema? Sta nella dimensione della tare previste dai codici, le quali decurtano la superficie su cui viene calcolato il Premio. È evidente che se la mia proprietà è di 100 ettari ed ha degli alberi, sotto i quali è possibile pascolare come accade da sempre in Sardegna, e invece il funzionario Agea attirbuisce ai miei terreni il codice, per esempio, Pascolo arborato tara al 50% (prodotto 054), il premio mi viene calcolato non su 100 ma su 50 ettari.
Nel convegno di Silanus si denunciò, appunto, l’assenza nelle procedure Agea di codici adeguati alla realtà sarda (per esempio: un terreno roccioso e cespugliato può legittimamente essere decurtato dalle rocce, ma non dai cespugli, visto che le capre in primavera e in estate si nutrono esattamente di quei cespugli).
Se si continua ad attribuire ai nostri territori codici che non stanno né in cielo né in terra, come quello, molto utilizzato, denominato Pascolo tipo Alpeggio, si arreca ai nostri allevatori/agricoltori un danno enorme. Vengono infatti decurtate le superfici utili per la richiesta dei premi comunitari; di conseguenza vengono decurtati gli importi dei premi; infine accade una cosa che viene nascosta da tutte le autorità competenti: il contrasto tra quanto dichiarato dall’allevatore/agricoltore e quanto ritenuto attribuibile dall’Agea colloca, come si dice in gergo, in anomalia le particelle e sposta l’erogazione del contributo se va bene di due anni.
Un piccolo allarme: uno dei codici più utilizzato da Agea è il ‘Prodotto 054 - Pascolo arborato tara al 50%. Esso viene applicato ai boschi sardi (penso ai territori di Orgosolo, Mamoiada, Aritzo ecc.). Chi ha proprietà in quelle aree ha contributi dimezzati, ne stia certo.
Perché me ne occupo?
Perchè diversi allevatori mi hanno segnalato che le maglie si sono strette. Hanno presentato le domande e cominciano a girare le prime voci. Ora, io a suo tempo dissi che la questione è da trattarsi tra l’Assessorato e l’Agea, non abbandonando gli allevatori alla via crucis dell’anomalia e alle persecuzioni di Agea. Non venni ascoltato. Ora, il fatto che anche la Coldiretti sia entrata nel Sin (cioè nel sistema che rileva i territori) obiettivamente indebolisce la capacità dell’organizzazione degli allevatori di essere controparte dell’Assessorato e dell’Agea. Diversamente, proprio i sindacati  avebbero dovuto promuovere una class action contro la slealtà delle burocrazie di Stato e la complicità delle burocrazie regionali (perché sia chiaro, anche Argea non dice che la sua attività è bloccata dal fatto che Agea non le consente di accedere autonomamente al sistema inforatico e non glielo permette per non cedere potere).
L’ultima notizia di subordinazione coloniale italica, pagata dai nostri allevatori: chi paga Agea per queste funzioni, per le quali è stata letteralmente cacciata da altre regioni? Ovviamente la Regione Sardegna, che, con un inchino e sempre in ginocchio ha individuato - nelal scorsa legislatura - nel proprio Piano di Sviluppo Rurale l’Agea come organismo pagatore nonostante, per legge, abbia istituito, con le stesse funzioni, l’Argea. Paghiamo due soggetti per fare la stessa cosa, ma in realtà la fa solo l’Agenzia di Stato Agea, quella che nei propri registri fa vivere le vacche circa un secolo.

http://www.sardegnaeliberta.it/?p=4442

Sassari, cemento e centri commerciali: "Basta"

22/05/2012

Pastorizia, agricoltura, artigianato e piccolo commercio sono i settori più colpiti dall’invadenza della Grande Distribuzione che ha in pratica strangolato le nostre campagne, i paesi e i quartieri storici della città di Sassari.

SASSARI - Sabato 26 maggio alle ore 10:00 del mattino A Manca pro s’Indipendentzia chiama un’assemblea popolare al Mercato Civico di Sassari (viale Umberto) per discutere la grave situazione in cui versa la produzione locale in tutti i suoi settori anche a causa del proliferare della Grande Distribuzione.

Pastorizia, agricoltura, artigianato e piccolo commercio sono i settori più colpiti dall’invadenza della Grande Distribuzione che ha in pratica strangolato le nostre campagne, i paesi e i quartieri storici della città di Sassari.

“La Grande distribuzione ha cambiato le nostre abitudini in peggio mettendo seriamente in pericolo le attività dei nostri produttori e cancellando la vita sociale e gli scambi  dalle nostre piazze e dalle nostre strade. E' necessario cambiare rotta e prendere decisioni nette e chiare che ostacolino la Grande Distribuzione e ridiano ossigeno alla nostra economia!”

“Come? lo decideremo insieme, a partire da sabato! All’assemblea interverranno pastori sardi, agricoltori, operatori del Mercato Civico, piccoli commercianti e chiunque voglia dire la sua e fare proposte per invertire la tendenza allo spopolamento e all’impoverimento della nostra terra”.



http://www.algheronotizie.it/articoli.php?id_articolo=16363



mercoledì 23 maggio 2012

TIRRENIA: Cappellacci, avere riguardo per i posti di lavoro per i sardi


"Nel prendere atto della disponibilita' del Governo (italiano) ad aprire un dialogo sulla questione (trasporti, ndr), desidero sottolineare che quando si parla della Tirrenia sarebbe necessario avere riguardo non solo ai posti di lavoro di coloro che negli anni sono stati assunti dalla compagnia, ma anche a quelli mai nati, messi in pericolo o persi in Sardegna a causa di un sistema dei collegamenti marittimi che per decenni ha compresso il diritto alla mobilita' dei cittadini dell'isola e ha altresi' pregiudicato la liberta' di impresa per aziende che non hanno un accesso incondizionato ai mercati extraregionali".

Cosi' il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, commenta la disponibilita' da parte del Ministero dello Sviluppo Economico a costituire un tavolo sul futuro della compagnia di navigazione e sugli aspetti relativi alla continuita' territoriale, annunciata dal ministro Giarda durante il question time svoltosi alla Camera.

"Sarebbe sufficiente verificare quale sia la percentuale di Sardi assunti dalla Tirrenia - ha sottolineato il presidente - per avere una dimensione del problema.

La Sardegna - ha aggiunto Cappellacci, ricordando che a seguito della denuncia della Regione, l'Unione Europea ha rilevato le anomalie della vendita della Cin - chiede che, contrariamente a quanto avvenuto in passato, nel bilanciamento degli interessi in gioco ci sia la giusta considerazione per il diritto al lavoro, per il diritto alla mobilita' e per la liberta' di iniziativa economica dei Sardi e rivendica la competenza sulla politica per la continuita' territoriale marittima".

Da L.Q.it del 23 maggio 2012

Nomi delle strade anche in "casteddaiu": l’invito in limba al consiglio comunale


“Cras in Consillu chistionaus su regulamentu nou po sa toponomastica: si colat, Casteddu at a tenniri sa toponomastica in duas limbas sardu e italianu”.

 Il consigliere Marco Murgia su Fb sceglie un messaggio in limba per invitare tutti i cagliaritani a segure con attenzione l’andamento della seduta del consiglio comunale di oggi, quando si deciderà la nuova toponomastica di Cagliari.

 Nomi nuovi da dare alle vie dei nuovi quartieri di Cagliari. Scelte importanti per la memoria dei grandi cagliaritani scomaprsi, e per non dimenticare. Ma anche la possibilità che i nomi delle strade siano scanditi anche in "casteddaiu".

Da Comune di Cagliari

 

QUIRRA, DISCARICA DI STATO DELLE ARMI E FABBRICA DI TUMORI


La premessa è d’obbligo: «Affronterò la questione in un quadro generale, visto che il mio ruolo di pm non mi consente di addentrarmi in aspetti specifici» dell’inchiesta sul Poligono di Quirra.
Ma non può fare a meno di descrivere quanto accaduto nell’area interdetta come «un’attività di smaltimento di Stato». Domenico Fiordalisi, il procuratore di Lanusei - da alcuni visto come «il giudice a Berlino» che squarcia il velo delle omertà, dai detrattori come magistrato sensibile alla ribalta - parla per la prima volta dall’inizio dell’inchiesta che ha fatto discutere.

E rischia di costringere lo Stato a rivedere il rapporto di forza tra la Sardegna e la sgradita presenza militare. A partire proprio da Quirra. Divenuto “Un caso emblematico”, il titolo scelto dal Gruppo di Impegno politico e sociale per il convegno sul rapporto tra ambiente, salute e giustizia, discusso ieri nell’aula magna dell’Università di Sassari, così affollata da sembrare un palazzetto dello sport. Ospite di punta, Fiordalisi ha ripercorso anni di legislazione «inadeguata» per tutelare la salute in relazione al diritto ad un ambiente salubre. Seguito poi da Vincenzo Migaleddu, il presidente dei Medici per l’Ambiente, e Riccardo Cerri, docente di Chimica farmaceutica, con l’introduzione di Piero Mannironi, giornalista de La Nuova Sardegna, che ha fatto da moderatore.

A una platea di cittadini, curiosi, operatori della Giustizia, ma soprattutto giovani studenti - alcuni dei quali prendevano appunti -, Fiordalisi ha fornito strumenti tecnici per comprendere come solo di recente, e grazie alla giurisprudenza delle allora preture, cioè dei giudici di provincia e di frontiera, la Legge si sia adeguata al sentire comune: la necessità, avvertita solo a metà anni Ottanta, di perseguire traffici di rifiuti, inquinamento di ogni tipo, avvelenamento delle falde. Per garantire un diritto che in realtà è tutelato dalla Costituzione. Ma non è riuscito a trattenere una valutazione, il magistrato calabrese, forse frutto dell’anno e mezzo di indagini sugli esperimenti bellici di Quirra, dal 20 giugno in un’aula di Tribunale.

Affrontando il tema delle carenze normative sull’inquinamento dell’aria, ha detto: «Adesso parliamo di nanoparticelle come possibile pericolo nel Salto di Quirra, dopo che venivano distrutte - poi si vedrà nel contradditorio - e smaltite tutte le bombe e le munizioni obsolete dell’Aeronautica militare.

Fatto non da poco. Se non avessi fatto intercettazioni o un’inchiesta, una vicenda così grossa, durata tra l’84 e il 2008, un’attività di smaltimento di Stato, fatto noto in alcuni ambienti istituzionali, forse non sarebbe emersa». Un fatto che nemmeno i primi giornalisti che avevano scoperto l’altissima incidenza di linfomi ad Escalaplano, ai primi del 2000, aveva immaginato. Mannironi ha ricordato come tutto sia nato proprio lì, da quel sindaco solo e inascoltato, Antonio Pili, medico e primo cittadino di Villaputzu, che per primo aveva denunciato pubblicamente «il 2 ottobre 2001, il caso dei linfomi di Quirra, poi attribuiti dalle istituzioni all’arsenico».

Una versione oggi smentita, che Mannironi non ha esitato a definire «una forma di depistaggio», per i silenzi e le omissioni di chi doveva invece garantire la salute dei cittadini. Di silenzi non ne può più Rita Tilocca di Porto Torres, moglie di Natalino Delrio, operaio del Petrolchimico morto dopo quattro tumori. Così ieri ha ricordato: «I colleghi di mio marito non possono parlare perché perderebbero il posto. Ma io sì: voglio giustizia. Mio marito portava a casa pane imbottito di cancro. A noi dava il pane, lui si è tenuto il cancro».

Da La Nuova  Sardegna del 23 maggio 2012

Nino Fancello, attivista di Sardinia Natzione e Bettina Pitzurra, attivista IRS.


La situazione del Poligono di Quirra sarà l'argomento della puntata condotta dalla giornalista Daniela Astara.

Ospiti in studio: Nino Fancello, attivista di Sardinia Natzione e Bettina Pitzurra, attivista IRS.

 GUARDA IL VIDIO di Canale TV 5 Stelle Sardegna

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO IL PROGRAMMA DI ARISTANIS NOA



ORISTANO: Una città muore quando non ricorda, cancella o confonde la propria storia.
http://www.aristanis.org/sites/default/files/Programma%203.1a.pdf

ONIFAI: La mensa dei bambini con i prodotti locali o in ogni caso sardi.

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno mercoledì 23 maggio 2012 alle ore 1.18 ·
 


Onifai, la proposta dei centri della Valle del Cedrino: valorizzare le produzioni agricole “entrando” nelle scuole

Produttori di tutta la Valle del Cedrino unitevi. È un invito per dar gambe ad progetto fattibile, più che uno slogan, quello che lancia l’Unione dei Comuni della Valle del Cedrino a tutti gli agricoltori e allevatori del territorio.

L'ente sovracomunale intende infatti realizzare un progetto di valorizzazione delle produzioni agricole locali per creare una rete di commercializzazione e distribuzione a chilometri zero. Un progetto che prevede diverse iniziative, alcune a brevissimo e altre a medio termine. La più immediata è quella dell'apertura di un mercato di vendita diretta in località Sos Alinos per il periodo estivo.

L'altra, quella forse più ambiziosa ma sicuramente la più proficua, è quella di fornire tutte le mense pubbliche del comprensorio (scuole, asili etc) con almeno il 70% di prodotti locali o in ogni caso sardi. Venerdì scorso ad Onifai si è svolto un primo incontro tra gli amministratori dell'Unione dei Comuni e le aziende locali (una settantina quelle contattate) per illustrare l'iniziativa. «La riunione è stata abbastanza partecipata e l'idea è piaciuta – dice il sindaco di Onifai Daniela Satgia –. Tanto che in accordo con Laore e Coldiretti, che sostengono questo progetto, abbiamo concordato di riconvocare tutti gli agricoltori e gli allevatori della nostra zona per giovedì 31 sempre ad Onifai per mettere a punto un protocollo di intesa e stendere una bozza di disciplinare».

L'idea non è solo accattivante ma poggia su solide basi economico -finanziarie. «Il fatturato delle sole mense scolastiche attivate nei paesi della Valle del Cedrino (Orosei, Irgoli, Galtellì, Onifai e Loculi) supera i 500mila euro all'anno – spiega il presidente dell'Unione dei Comuni Giovanni Porcu – e i contratti di affidamento sono tutti in scadenza entro il prossimo anno. Nostra intenzione è quella di apporre nei prossimi capitolati di gara l'obbligatorietà di usare nella preparazione dei pasti almeno il 70% di prodotti nostrani. Si tratta di oltre 350mila euro che potrebbero rientrare direttamente in circuito nelle nostre economie ottenendo così un duplice ottimale scopo: alimentare con cibi genuini e prodotti in zona i bambini e i ragazzi della nostre scuole e dar respiro alle nostre aziende agrozootecniche».

Intanto si partirà con un mercato di produzioni locali che oltre alla località turistica di Sos Alinos vuole diventare appuntamento fisso settimanale a turno in tutti i cinque paesi della Valle del Cedrino. Un primo passo anche questo salutare economicamente e soprattutto promozionale per il futuro dell'iniziativa.
(Angelo Fontanesi)

Da La Nuova Sardegna del 22 maggio 2012

ECCO PERCHÈ MONTI IMPONE UN CONTO CORRENTE PER I PENSIONATI ...

EQUITALIA COSÌ PUÒ PIGNORARE L'INTERA PENSIONE
Dall'Ottobre scorso, il governo italiano ha concesso nuovi poteri ad Equitalia, tra cui quello di prelevare direttamente dai conti correnti dei debitori. Se un cittadino ha un debito, Equitalia può svuotargli il conto corrente per recuperare l'insoluto: indipendentemente dalla provenienza di tali soldi, e se ci trova 1.000€ preleva quelli.
http://isegretidellacasta.blogspot.it/2012/05/ecco-perche-monti-impone-un-conto.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+blogspot%2FBOqVu+%28I+segreti+della+casta+di+Montecitorio%29

I DEBITI DELLO STATO ITALIANO ...

Il governo (italiano) propone come un grande provvedimento quello del pagamenti tra i 20 e i 30 miliardi della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Ma sapete, invece, come funzionerà?

Se uno vanta un credito di 100 mila euro nei confronti di un'Asl o di un Comune mica riceverà quanto dovuto. Dovrà andare in banca e, con quella garanzia di credito, potrà ottenere un prestito da 70 mila euro. Sul quale, naturalmente, dovrà pagare gli interessi. Dunque il governo e le banche ci guadagnano, le imprese pagano due volte.
(A.M.)

Iscola de Istoria Iscanesa



Il Vicesindaco ed Assessore alla Cultura Antoni Flore, coordinatore politico di iRS Aristanis, nell’ambito della programmazione culturale del Comune di Scano di Montiferro, organizza quattro incontro formativi inediti sulla storia di Iscanu, Scano di Montiferro.
Il percorso didattico si snoda dall’eta nuragica fino ai giorni nostri, al fine di consentire una piena ed armonica conoscenza, presso gli abitanti, della dinamica storica del borgo montiferrino.
Il valore della conoscenza, della propria identità è fondamentale nel processo di costruzione della coscienza collettiva e della consapevolezza comunitaria.
L’eliminazione forzosa della storia e della lingua del popolo vinto ad opera dei donimanti, non a caso, è il principale veicolo di spersonalizzazione e di colonizzazione di una nazione.
I convegni si svolgeranno mercoledì 9, mercoledì 16, mercoledì 23 e mercoledì 30 maggio, alle ore 21, nel il Teatro Comunale “Nonnu Mannu”.

TESTO ORIGINALE ...

DODDORE MELONI: GRAVI RITARDI SULLA VERIFICA DELLE FIRME «Boicottano il mio quesito»


pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno martedì 22 maggio 2012 alle ore 23.50 ·



Il leader di Malu Entu ha promosso una consultazione sull'indipendenza

Il 25 maggio, fra tre giorni, scade il termine per terminare la verifica delle firme raccolte dagli indipendentisti della repubblica di Malu Entu per promuovere una consultazione popolare sull'indipendenza della Sardegna. Ma l'Ufficio regionale del referendum, denuncia il leader del movimento, Doddore Meloni, «non ha nemmeno avviato il lavoro».

«Negli ultimi giorni sono andato più volte dalla responsabile del servizio per chiedere spiegazioni», racconta, «e sono stato trattato come un disturbatore. Una volta mi hanno tenuto per un sacco di tempo fuori dalla porta, un'altra mi hanno invitato a scrivere una lettera in cui avrei dovuto indicare le norme di legge a cui facevo riferimento per chiedere l'urgenza. Si rende conto? Hanno chiesto a me, cittadino che rappresenta oltre 27 mila persone che hanno firmato la richiesta di referendum, di indicare leggi che loro, dirigenti della pubblica amministrazione, dovrebbero conoscere benissimo».

La norma a cui fa riferimento Meloni è l'articolo 7 della legge regionale numero 20 del '57 che disciplina il referendum popolare regionale. «Se è stato raggiunto il numero di richiedenti prescritto, l'Ufficio procede immediatamente alla verifica delle firme e dei verbali di dichiarazione di volontà...Le operazioni di verifica devono essere ultimate entro 15 giorni...» .

Meloni il 10 maggio scorso ha presentato parte delle firme raccolte, 12.999 più la sua (che non vale visto che Meloni è stato interdetto dai pubblici uffici). Circa tremila più delle 10 mila necessarie. Da allora il leader di Malu Entu attende segnali. «Ho cercato di parlare con il presidente della Regione o con qualcuno del suo staff, l'unica cosa che mi è stata detta è di presentare un sollecito. Siamo all'assurdo: forse dimenticano di essere al servizio dei cittadini e non viceversa».

Questo il quesito referendario proposto da Meloni: «Sei d'accordo, in base al diritto internazionale delle Nazioni Unite, al raggiungimento della libertà del popolo sardo, con l'Indipendenza ?».  (f.ma.)

Tratto da L'Unione Sarda del 22 maggio 2012

LO STATO ITALIANO CONTRO L'INDIPENDENTISTA DODDORE MELONI: I magistrati sperano di riuscire a spaventarmi


pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno martedì 22 maggio 2012 alle ore 23.24 ·



«Con questa indagine lo Stato italiano mi vuole intimidire. I magistrati sperano di riuscire a spaventarmi mandando i finanzieri a perquisire la mia casa: sappiano che non mi fermeranno. La battaglia per la libertà dei sardi e per l'indipendenza della Sardegna non si fermerà neanche se continuano ad aprire inchieste contro di me».

La notizia è proprio questa: la Procura della Repubblica di Oristano ha avviato un'altra indagine sull'impresa che Doddore Meloni gestisce a Terralba. L'abitazione del leader del partito indipendentista “Par.is” ieri mattina è stata perquisita da otto finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Oristano, incaricati dalla Procura della Repubblica di Oristano di portare avanti un accertamento fiscale sulle società delle famiglia Meloni. Gli uomini della Fiamme gialle si sono presentati con un'ordinanza di perquisizione firmata dal sostituto procuratore Paolo De Falco: hanno portato via un malloppo di documenti fiscali e dopo il blitz nella casa di Doddore si sono spostati nel market aperto da gennaio dalla figlia del fondatore della Repubblica di Malu Entu.

Lui, ovviamente, non ha firmato i verbali di perquisizione e ha colto l'occasione per denunciare quella che ai suoi occhi appare come una sorta di complotto per fermare la battaglia indipendentista. «Le date non sono coincidenze - attacca Doddore Meloni - Il 10 maggio ho presentato tutte le firme necessarie per promuovere il referendum sull'indipendenza della Sardegna, il 14 sono stato intervista dal quotidiano La Padania e, guarda caso, il 17 è stato firmato l'ordine di perquisizione della mia casa, della mia auto e del negozietto di mia figlia.

Queste intimidazioni organizzate dalle istituzioni italiane ottengono solo un risultato: produrre più coraggio per portare avanti la battaglia per la libertà. Comunque, sono contento dell'importanza che la Procura di Oristano rivolge verso di me e sono soddisfatto che il mio impegno indipendentista produca una grande mole di lavoro magistratura italiana. Questo accanimento dimostra che il nostro impegno politico sta provocando molta paura alle istituzioni italiane». ( np )

Da L'Unione Sarda del 22 maggio 2012

I fondamenti storici dell’indipendenza sarda Parla il presidente di ProgReS Omar Onnis Deidda

Indipendéntzia

I fondamenti storici dell’indipendenza sarda Parla il presidente di ProgReS Omar Onnis Deidda

Per il quarto appuntamento con l’indipendentismo sardo proponiamo una lunga chiacchierata con Omar Onnis Deidda, nuorese attualmente residente a Trento, presidente di ProgReS – Progetu Repùblica, studioso di storia sarda, blogger e bibliotecario.

I temi sono vari: la nascita della moderna visione indipendentista, le relazioni tra questa visione e le parentesi indipendentiste – o di indipendenza vera e propria – separatiste e autonomiste che la nostra storia ha conosciuto, il “mito” della costante resistenziale, le basi culturali dell’indipendentismo moderno e il perché, oggi, è indispensabile che la Sardegna raggiunga la sua maturità storica creando uno stato indipendente.


Da dove partono, a livello temporale, le pulsioni indipendentiste della nostra Isola? Esiste un continuum dal periodo nuragico a quello giudicale, e magari da quello giudicale a oggi?

Si può parlare di indipendentismo sardo solo in relazione all’epoca contemporanea e più specificamente alla condizione di regione dello stato italiano, in cui la Sardegna si è ritrovata, praticamente senza volerlo e senza nemmeno capire dove andavamo a finire, solo a cose fatte. Da quel momento (stiamo parlando dunque di un secolo e mezzo fa o giù di lì) è lecito parlare di indipendentismo in senso proprio. Le prime manifestazioni del desiderio diffuso di uscita dalla dipendenza sono riconoscibili già nel periodo a cavallo tra Otto e Novecento. In quella fase, esauritasi la spinta ideale del primo autonomismo (quello dei vari Siotto-Pintor, Tuveri, Asproni, Fenu, ecc., suscitato dalla delusione per gli esiti della Perfetta Fusione), l’ambito politico sardo si era votato ad altri paradigmi.

Il campione e il dominus dei quali è sicuramente individuabile in Francesco Cocco Ortu, emblema e primo grande sperimentatore della politica di intermediazione tra stato italiano e Sardegna. Un metodo efficace in cui, tramite una capillare rete clientelare, si garantiva lo status quo sull’Isola e si conquistavano per sé (in Italia) e per il proprio clan (in Sardegna) cariche, vantaggi, prestigio. Cocco Ortu fu più volte ministro, in età giolittiana. Diciamo che rappresenta il modello a cui, a dispetto della retorica dominante, si è ispirata tutta la politica autonomista sarda degli ultimi sessant’anni, con pochissime eccezioni.
Quanto al discorso sulle continuità storiche, qui ci andrei molto prudente. La nostra è una vicenda collettiva lunga e complessa, fatta di fenomeni di lunga e lunghissima durata ma anche di iati, di cesure e di dimenticanze, che spesso hanno impedito di riconoscere il significato e la natura dei processi più duraturi e di comprendere le dinamiche in corso, le loro cause strutturali, la loro relazione col passato. Di sicuro non si può parlare di indipendentismo per epoche precedenti quella attuale.
Per l’epoca antica il discorso non si pone proprio. È abbastanza ridicolo fare di Amsicora un eroe indipendentista (moderno). Tuttavia si è in realtà fatto di peggio: se ne è fatto un eroe “autonomista”, il che suona a dir poco ridicolo e anche abbastanza penoso, sinceramente.
Ancora. La lunga guerra tra sardi e catalani, conclusasi col definitivo assoggettamento dell’Isola alla corona iberica (aragonese prima, spagnola poi) era una guerra tra entità politiche in qualche modo precorritrici della modernità, che facevano il proprio gioco dentro il vasto conflitto per l’egemonia nel Mediterraneo occidentale. La Sardegna, sotto la dinastia arborense, aveva conquistato nel corso del XIV secolo una propria soggettività internazionale, che la poneva al centro di tale conflitto. Era anche una guerra per l’indipendenza dell’Isola, chiaramente, per certi versi già “moderna”. Ma non nei termini in cui tale questione si pone oggi. Allora non c’era alcun dubbio che i sardi fossero sardi (anzi, il conflitto aveva accelerato inevitabilmente i processi di identificazione collettiva, in anticipo rispetto agli analoghi fenomeni europei) e che la loro patria fosse la Sardegna (come inciso nella campana bronzea di Ugone III).
In epoca spagnola non esisteva alcuna pulsione indipendentista, per il semplice fatto che la Sardegna era di suo un regno, un ordinamento giuridico a sé, certamente inserito (tramite la persona del re) nel vasto contesto imperiale spagnolo. La discussione politica in quella lunga epoca riguardava questioni interne (spesso rivalità tra fazioni e clan aristocratici) o le relazioni istituzionali con la corona, ma certo non si poneva in dubbio che i sardi fossero sardi e nemmeno la legittimità della monarchia iberica, tanto più che la classe dominante sarda era discendente o tributaria dei conquistatori aragonesi e catalani. Ma è altrettanto anacronistico attribuire significati autonomisti alle vicende di quel periodo (per esempio le varie rivendicazioni del “parlamento” sardo, o la torbida vicenda dell’assassinio del viceré, marchese di Camarassa, del 1668).

Quanto alla nostra epopea rivoluzionaria (purtroppo ancora largamente misconosciuta), anche lì è del tutto improprio intravedere una questione indipendentista, non foss’altro perché, ancora una volta, nessuno metteva in dubbio che la Sardegna fosse una entità esistente di per se stessa. Certamente la proclamazione della repubblica avrebbe avuto esiti decisivi riguardo il rapporto con la corona sabauda. Ma non era in discussione l’esistenza di un territorio e di una popolazione definiti come “sardi”, caso mai era in discussione la forma di governo.

Tanto meno, anche qui, possono essere applicate categorie come autonomia e autonomismo. Cosa che invece purtroppo si fa, anche a livello iatituzionale e nella narrazione dominante (veicolata dalla scuola e dai mass media): pensiamo alla legge istitutiva di Sa Die de sa Sardigna, o alle delibere che annualmente ne stabiliscono il finanziamento. Si parla sempre di “valori autonomisti” da diffondere, specialmente presso i giovani. Mai capito cosa siano questi “valori autonomisti”.
Teniamo presente, poi, come accennavo, che tra le varie fasi della nostra storia per lo più si sono create delle cesure abbastanza nette e significative. Non si è consolidata una memoria condivisa. In epoca rivoluzionaria ad esempio non si sapeva alcunché della storia giudicale, non era un riferimento storico a cui rifarsi. Lo dimostrano i documenti dell’epoca (due su tutti: l’inno di Francesco Ignazio Mannu del 1795 e il memoriale francese di Giovanni Maria Angioy del 1799).

Così come, nel primo Novecento, il sardismo e l’autonomismo non ricorsero all’epopea rivoluzionaria per fondare in un passato significativo e ancora “parlante” le proprie basi teoriche e politiche. I leader del sardismo erano essi stessi vittime del sistema di formazione italiano, che a sua volta veicolava una narrazione dei sardi e della loro storia del tutto subalterna, barbarica, figlia di un ipotetico isolamento millenario, da cui poteva estrarci solo la luce di una civiltà superiore: quella italiana.

Oggi, a fatica, incontrando forti resistenze, stiamo provando a riallacciare i nodi della nostra storia. C’é un nesso evidente tra rimozione storica e debolezza economica e civile. Tuttavia la conoscenza di noi stessi è una condizione necessaria ma non sufficiente a costruire una nuova prospettiva politica.
Eviterei comunque gli anacronismi e le avventurose ricostruzioni pseudostoriche. Purtroppo la mancanza di una memoria condivisa e le gravissime lacune della storiografia sarda lasciano campo libero a qualsiasi volo pindarico, a compensazione della depressione cui ci costringe il nostro mito identitario. Esiste una fortissima domanda di storia, tra la nostra gente, ma l’offerta è davvero scarsa, specie in termini qualitativi.

 2) Da dove nasce e come nasce l’indipendentismo moderno ?

Come detto, si può parlare di prime vere istanze indipendentiste solo per i primi del Novecento, quando circolavano opuscoli sovversivi con la parola d’ordine “emancipazione” (ossia, indipendenza dall’Italia) e nelle piazze, nelle occasioni di socializzazione, si diceva o spesso si gridava “a fora sos continentales” (ce lo testimonia lo stesso Nino Gramsci, come si sa).

Ma erano pulsioni ancora irriflesse. Mancava totalmente qualsiasi base storica, qualsiasi nozione compiuta di noi stessi. I sardi erano allora catalogati come esotici, come delinquenti o al più come utile carne da cannone. L’intellettualità sarda del tempo, tributaria come detto verso i modelli culturali italiani, non aveva una preparazione molto migliore sul nostro conto di quella che aveva il popolo e il gioco degli interessi di classe faceva sì che non si formasse una avanguardia politica aperta e consapevole che potesse farsi carico di guidare l’istintuale indipendentismo diffuso verso esiti politici definiti. Le cose cambiano nel secondo dopo guerra e sprattutto negli anni Sessanta del Novecento. In quel momento si verifica un fenomeno degno di nota.

La disarticolazione del tessuto culturale e sociale dell’Isola procede a grandi passi, grazie alla follia del piano di Rinascita, alla militarizzazione del nostro territorio e al contempo grazie alla scolarizzazione di massa e alla diffusione dei mass media (televisione in primis). Ma è anche il momento in cui molti sardi acquisiscono per la prima volta in modo massiccio gli strumenti critici della contemporaneità. C’è un improvviso risveglio delle coscienze.

Il sardismo tradizionale e l’autonomismo non sembrano bastare più. Nasce la riflessione (non conclusa e per certi versi inconcludente) di Mialinu Pira, si approfondisce quella di Giovanni Lilliu, ecc. E nasce, sulla scorta della grande riflessione anti- e post-coloniale, il neo-sardismo indipendentista di Antoni Simon Mossa. Per quanto minoritario, quello è il germe dell’indipendentismo contemporaneo, la cui prima fase si conclude con la riscrittura in salsa indipendentista dello statuto del PSdAz e con la fallimentare stagione del “vento sardista”, negli anni Ottanta del secolo scorso, con le sue ricadute nel decennio successivo. In anni più recenti il percorso si è arricchito di elaborazioni e teorizzazioni, meno schematiche e più critiche, anche auto-critiche, e oggi il tema è ormai uscito dalla clandestinità.

La nuova fase dell’indipendentismo contemporaneo è quella nata intorno al 2003 e dura tutt’oggi. C’è ancora molta resistenza nei centri di interesse che dominano l’Isola, sia in senso materiale sia nella produzione di informazioni. È chiaro che porre la questione dell’indipendenza della Sardegna in termini non più folkloristici, o puramente ideali, o magari banalmente rivendicazionisti, ma invece impostarla secondo riflessioni più strutturate, in consonanza con gli studi internazionali, e fondandola su progetti seri, è assolutamente destabilizzante per gli attuali assetti di potere.

3) La costante resistenziale di Lilliu ha a che vedere con l’indipendentismo? Cosa distingue l’autonomista dall’indipendentista oggi?

La costante resistenziale è funzionale all’ideologia sardista e all’autonomismo. Ossia è per sua natura avversa a qualsiasi forma di autodeterminazione compiuta dei sardi. In più, è una tesi storica piuttosto debole, per non dire del tutto infondata. Porre la questione della costante resistenziale è utile per ridiscutere tutta la narrazione tossica della nostra identità. Mi spiego meglio. Noi tutti diamo per scontato che esista una identità sarda. È un luogo comune, uno stereotipo; di più, è un canone, a cui non ci si può sottrarre.

Se andiamo a vedere di cosa sia composta questa pretesa identità, troviamo aspetti storici (per lo più falsi, o costruiti ad arte), vaghi elementi antropologici elevati a dogmi, questioni del tutto contingenti prese come costanti storiche di lunghissima durata, strani complessi psicotici, simboli ambigui. Un assemblaggio di materiali mitologici che formano il nostro mito fondativo, ma lo formano come mito “tecnicizzato”. Non un mito che nasce e si sviluppa nell’humus di una memoria condivisa, di una appartenenza chiara, di una definita percezione di sé nello spazio e nel tempo, bensì qualcosa di assemblato, di artificioso.
L’identità sarda, così come la concepiamo oggi, è un costrutto totalmente contemporaneo, frutto di un sistema egemonico che ha necessità di un fondamento ideale, mitico appunto, radicato nell’immaginario collettivo, capace di giustificare l’esistente. Pensiamo alla sciocchezza del nostro isolamento millenario, che ci avrebbe tagliato fuori dal corso della Storia (con la rigorosa “s” maiuscola) ma anche preservato in qualche modo puri, autentici, fin dentro l’epoca contemporanea. Pensiamo al luogo comune del “pocos locos y mal unidos”, tanto caro alla nostra retorica auto-giustificazionista e deresponsabilizzante, tra l’altro spesso erroneamente attribuito a una definizione dei sardi data da Carlo V (tanto per nobilitare la nostra auto-denigrazione traendola da una fonte prestigiosa). E questi sono solo pochi esempi.

Tutta roba che nasce nel Novecento, sul terreno fertilizzato nel secolo precedente, il terribile Ottocento, dalla nostra “orientalizzazione” (ossia, catalogazione come razza inferiore), poi dall’attribuzione “scientifica” di un’indole delinquenziale congenita, quindi dalla scoperta e canonizzazione dai nostri costumi pittoreschi ed esotici (la Sardegna come la “Patagonia” dell’Italia, scriveva Giulio Bechi, nel 1914).

È con questo materiale, e in termini espliciti di subalternità, che viene fondata la stessa ideologia sardista, a sua volta base ideale dell’autonomismo. E nasce come antidoto a qualsiasi discorso di autodeterminazione e di indipendenza nazionale. Le parole di Lussu, alla camera dei deputati, nel 1921, sono emblematiche, al riguardo. Quelle di Bellieni, sulla nostra condizione di nazione abortiva, sono agghiaccianti. Ma quel taglio così tragico è stato presto messo in secondo piano dall’orgoglio dell’appartenenza a una collettività “speciale”, fondato sul sangue versato per l’Italia.

In quella cornice concettuale si è incastrato tutto il pastrocchio della nostra identità sarda. Una sottospecie di nazionalismo, in fondo, ma senza pretese, con un orizzonte artificiosamente chiuso su se stesso. Dentro questa narrazione, negli anni Sessanta, si inserisce la tesi della costante resistenziale. Non so sinceramente quali fossero le intenzioni di Giovanni Lilliu, postulando la presunta resistenzialità dei sardi. Di sicuro questa tesi soffre delle stesse carenze e ambiguità di sui soffre tutto il pensiero sardista e tutta la nostra narrazione identitaria. I sardi non hanno mai resistito a nulla. Al contrario, sono sempre stati immersi nelle correnti culturali e storiche delle varie epoche.

In diversi periodi la Sardegna ha prodotto o ha partecipato a pieno titolo alla migliore civiltà europea e mediterranea. Una terra dai confini così definiti, con una presenza umana ininterrotta almeno dal paleolitico, inevitabilmente si è sempre relazionata con le correnti della civiltà a modo suo. Qualsiasi elemento di tipo economico, culturale o politico che intervenga in un contesto siffatto viene conformato dalla presenza di una stratificazione storica di tale profondità e complessità. Il che non ha nulla a che fare con una presunta resistenza dei sardi, databile addirittura all’Età del Ferro o giù di lì.

La Sardegna ha prodotto o ha condiviso civiltà anche dopo l’epoca nuragica. La civiltà non scompare: sedimenta, si stratifica, viene sottoposta alla tettonica dei mutamenti storici, per poi riemergere come vena originale in altre epoche. Ha un andamento carsico, la civiltà. Ecco perché la Sardegna ha sempre risposto in modo originale e fecondo alle spinte della storia. In tutte le epoche. Anche adesso basta prendere in considerazione la nostra produzione letteraria, artistica, musicale, sociale e persino economica in tutte le loro forme, per renderci conto di quanta civiltà produciamo anche in questo periodo tormentato.

La costante resistenziale nega tutto ciò, disegna una storia dei sardi come popolazione sì legata al proprio passato mitico, ma in termini passivi, nei termini di una pervicace e ostinata resistenza alla civiltà, alla storia stessa. Si fonda sul mito delle continue dominazioni e della nostra costante sconfitta. Ed è anche fonte di equivoci etnocentrici, di divisioni artificiose tra sardi veri e sardi un po’ così: montagna contro pianura, interno contro coste, Barbagia contro Campidano… L’idea stessa di civiltà nuragica concepita da Lilliu e dai suoi seguaci (più dogmatici del maestro, bisogna dire) è sintomatica: una cultura chiusa, conflittuale, barbarica. Anche qui, tesi imposte nella narrazione dominante, ma senza grandi sostegni documentari.
Qui mi riallaccio alla distinzione tra autonomismo e indipendentismo. Occorre la massima chiarezza, su questo punto. Autonomia e indipendenza non sono sinonimi e non costituiscono nemmeno stadi dello stesso processo. Sono termini alternativi. O si persegue una o si persegue l’altra. Il significato politico e giuridico dei due concetti prevale decisamente sulla loro banale interpretazione etimologica. Tant’è che tutti i partiti che dominano la Sardegna, pur essendo per lo più succursali oltremarine di partiti italiani o costruiti su quel modello, si dichiarano autonomisti. E al contempo – direi conseguentemente – sono e spesso si professano apertamente anti-indipendentisti (al di là di alcune recenti dichiarazioni di comodo, esclusivamente retoriche).


4) Perché il singolo cittadino sardo dovrebbe pensare di appoggiare l’indipendentismo? Non basta il federalismo? Come nasce il sentimento indipendentista in un sardo, nel 2012?


Il federalismo, come l’autonomismo, è cosa del tutto diversa dall’indipendentismo. Cambia la prospettiva, cambiano i passaggi giuridici da pianificare e cambiano anche i riferimenti teorici. Inoltre è pragmaticamente assurdo promuovere una federazione tra Sardegna e Italia, come fossero due entità grosso modo paritetiche. In ogni caso, cosa ci sarebbe da guadagnare per i sardi dal federalismo in salsa italiana, è tutto da capire. Ma è un falso problema, dato che il federalismo in Italia non si farà mai, se non a prezzo della disintegrazione dello stato italiano medesimo (per come è stato storicamente costruito).
Detto ciò, circa i motivi che possono condurre a un impegno politico di tipo indipendentista, posso giusto fare riferimento alla mia esperienza personale. Io ho fatto la scelta di impegnarmi concretamente per l’indipendenza della Sardegna circa cinque anni fa. Tuttavia la mia prima presa di coscienza veramente consapevole in questo senso risale a una ventina di anni or sono ed è da ricollegare allo studio della nostra storia. Ma questo è già un processo di maturazione intellettuale e politica strutturato. Alla base c’è sicuramente la percezione, esistente in tutti i sardi, di una appartenenza forte alla propria terra e alla propria gente. Percezione istintuale che poi spesso è declinata soggettivamente in termini eterogenei, a volte ambigui o paradossali, e però innegabile.

Mi servo ancora del mio esempio. Per molto tempo ho osservato con sconcerto e a volte con repulsione lo scenario politico indipendentista degli anni Novanta. A parte la figura di Angelo Caria, la cui parabola però è stata prematuramente spezzata, non vedevo alcun teorico all’altezza delle necessità e alcun disegno strutturato e credibile. Sentivo e leggevo slogan, a volte piuttosto fuori tempo massimo, rivendicazioni verso l’Italia che mi sembravano antitetiche rispetto a un sano discorso di autodeterminazione responsabile, ignoranza o rimozione dei problemi pratici (da quelli economici a quelli giuridici).

Insomma, esisteva una grave lacuna di progettualità politica, anche facendo salve le buone intenzioni e il disinteresse dei vari leader (spesso in conflitto tra loro, bisogna anche dire). Questi limiti dell’indipendentismo sardo non sono tutti scomparsi. In parte permangono ancora. Ma sono stati affiancati – e a mio avviso ampiamente superati – da una visione più matura.


Ricordo la grande mobilitazione contro il nucleare del 2003. Quello fu un momento di riscoperta di un sentimento di appartenenza forte, in Sardegna, dopo anni di declino dell’indipendentismo militante. Momento a cui i sardi diedero anche un esito politico, eleggendo Soru alla presidenza della regione (un equivoco epocale e molto sintomatico). Ma sempre in quegli anni si affacciarono sulla scena nuove prospettive, come le teorizzazioni prima del gruppo di Su Cuncordu, poi di Franciscu Sedda, Frantziscu Sanna e Franciscu Pala, reduci da quell’esperienza e quindi fondatori di iRS. Lì si intravedevano le nuove potenzialità della prospettiva indipendentista. La nonviolenza come principio fondante di una nuova prassi, il ripudio del nazionalismo, la critica serrata al sardismo e all’autonomismo, ai loro simboli e alle loro realizzazioni teoriche e politiche, l’apertura culturale. Un patrimonio oggi largamente acquisito. La cosa poi è maturata negli anni.

Ci sono stati apporti diversi, si è ampliato lo sguardo, le circostanze storiche hanno posto il problema in altri termini. Molti giovani, senza alcuno spirito nostalgico o pulsioni identitarie dogmatiche, si sono avvicinati alla politica indipendentista, si sono costruite proposte credibili, forti (sulla fiscalità, sui trasporti, sulla questione linguistica, su molti temi strategici o contingenti), si sono assunte posizioni politiche nuove, si è cominciato a tenere conto dello scenario internazionale. E si sono corrette alcune storture del passato. Oggi – faccio l’esempio del mio partito, ProgReS – Progetu Repùblica – noi possiamo presentarci ai sardi senza alcuna zavorra leaderistica, senza sindromi da accerchiamento e senza paura del confronto.
Questo forse da solo non basta a convincere i sardi della bontà del nostro progetto e della prospettiva dell’indipendenza. La mia paura però non è che non si riesca in questo intento, bensì che le condizioni storiche ci impongano di qui a breve scelte drastiche che noi – noi come sardi – ci troveremo ad affrontare senza equipaggiamento e personale politici adeguati. L’indipendenza della Sardegna è una necessità storica. Non trascendente, ma originata dalle dinamiche e dalle relazioni tra fattori storici.

Una terra geograficamente a se stante, storicamente così ricca e stratificata quale è la Sardegna, con la necessità vitale di essere aperta al mondo, non può emanciparsi in termini economici, sociali e civili se non perseguendo una convinta sovranità e una propria soggettività politica nello scenario internazionale. Del resto, gli esempi a nostra disposizione parlano chiaro.

Malta è poco più che un enorme scoglio, abitato da 400000 esseri umani. È uno stato indipendente e sembra godere di salute decisamente migliore rispetto a noi. In ogni caso, ha la piena responsabilità di sé e la capacità di interloquire a livello internazionale in tutte le sedi. Persino Cipro, pure condizionata da una situazione storica conflittuale non ancora risolta, sta meglio della Sardegna. È un’isola di 700000 abitanti. E questo per limitarci alle isole mediterranee. In realtà nel mondo almeno un quarto degli stati iscritti all’ONU è grande come la Sardegna o più piccolo.

La Sardegna indipendente non sarebbe una strana creatura anacronistica (come qualcuno sostiene), ma semplicemente un dato di fatto perfettamente sensato, dentro le logiche storiche del nostro mondo. Come dice Alex Salmond, leader del SNP (il partito che porterà la Scozia all’indipendenza tra un paio d’anni), “la condizione naturale di una nazione è l’indipendenza”. Chiarisco che noi ci riferiamo al concetto di nazione come a qualcosa di dinamico e inclusivo: non si tratta certo della nozione giacobina o ottocentesca, tanto meno di quella fascista.

Oggi come oggi, che siamo una nazione lo dicono tutti, persino in consiglio regionale. Non resta che agire coerentemente con questa premessa condivisa. Al 40% dei sardi già la cosa non fa alcuna paura, secondo il recente sondaggio delle Università di Cagliari ed Edimburgo. Bisogna lavorarci su. È una prospettiva proficua, che può aprire per tutti i sardi una stagione di grande crescita intellettuale, morale e anche economica. Ci sono studi internazionali che ce lo suggeriscono. E c’è soprattutto la constatazione oggettiva che la Sardegna come regione dello stato italiano non uscirà mai dal perenne stato di crisi in cui è entrata nel corso dell’Ottocento.

Oggi come oggi direi che l’onere della prova sia decisamente invertito. Non è più necessario dimostrare le buone ragioni della prospettiva indipendentista, ma caso mai spiegare a che titolo e per quali motivi dovremmo restare ancora una appendice periferica, marginale e insignificante di uno stato geograficamente, storicamente e economicamente altro da noi, i cui interessi per bene che vada non coincidono con i nostri e di solito sono in aperto contrasto.


5) Quali riferimenti culturali sono basilari per capire l’indipendentismo sardo?


Non è facile rispondere a questa domanda in termini esaustivi. Molta della elaborazione teorica necessaria la stiamo producendo adesso o è stata avviata negli ultimi anni. C’era una grave lacuna, in questo senso (fattore decisivo nell’immaturità dell’indipendentismo fino ai primi anni Duemila).
Direi che si può suggerire, a chi si avvicini solo ora a quest’ambito politico e teorico, di saccheggiare a piene mani la vasta produzione reperibile in Rete sia nei siti delle varie organizzazioni politiche, sia su altri spazi (blog, social media e quant’altro). La Rete è uno dei fattori decisivi nell’espansione teorica e anche quantitativa dell’indipendentismo attuale. Poi naturalmente si può attingere ad alcuni testi per così dire canonici. Sarebbe bello che esistesse una edizione critica completa degli scritti di Antoni Simon Mossa. Qualcosa in giro c’è. Quella è una fonte da cui partire.

Poi ci sono testi non prettamente indipendentisti, che però aprono prospettive, offrono risorse teoriche. Penso a La Rivolta dell’oggetto, di Mialinu Pira, penso agli scritti di Bachis Bandinu, come Lettera a un giovane sardo, e alle riflessioni di intellettuali come Cicitu Masala, Eliseo Spiga, Placido Cherchi. Di Bachis Bandinu fondamentale è il recente saggio Pro s’indipendentzia: una lettura preziosa, che segna una maturazione coraggiosa nel pensiero del grande antropologo e intellettuale bittese.

Segnalo ovviamente anche gli scritti di Franciscu Sedda (da Tracce di memoria a I sardi sono capaci di amare, pasando per La vera storia della bandiera dei sardi). Lì c’è una rilettura critica del sardismo e dell’autonomismo, la discussione argomentata sui fondamenti della nostra identificazione contemporanea, l’analisi semiotica e politica sulle nostre simbologie e le nostre mitologie subalterne. Ma non dimenticherei di chiamare in causa anche le nostre produzioni artistiche, musicali (tradizionali e non) e letterarie (in tutte le lingue dei sardi, italiano compreso), che offrono un panorama vasto e articolato di segni, narrazioni, elementi discorsivi e identificativi. A volte in termini complessi, ambigui, non risolti, ma quasi sempre stimolanti.

Ne approfitto anche per una promozione pro domo mea, diciamo così. Da qualche mese abbiamo ripreso le trasmissioni di Radio Indipendentzia, la nostra emittente online. A parte ottima musica, trasmettiamo molti programmi di approfondimento, non solo politico. Sono reperibili anche in podcast (basta cercare su internet o su facebook, non è difficile). Anche lì si trova molto materiale utile. Sempre nell’ambito della nostra produzione teorica, ritengo doveroso segnalare il nostro Documento di Politica Linguistica, frutto di un lavoro pluriennale coordinato dall’etnologo dell’Università del Michigan Martino Dibeltulo (di Tempio), a cui abbiamo lavorato in tanti, mettendo a frutto un vasto assortimento di competenze, e con un esito veramente significativo (lo dico anche sulla base delle reazioni suscitate). Si tratta di un chiaro esempio di politica indipendentista non nazionalista e nonviolenta.


A un altro livello, direi che si può proficuamente attingere ai testi strettamente storici relativi alla nostra età contemporanea, direi dall’epoca sabauda in qua. Importante, per esempio, la produzione storiografica di Girolamo Sotgiu. E anche la storia del sardismo e del PSdAz di Salvatore Cubeddu. Poi, in ambito più generale, c’è la saggistica post coloniale, che offre molti spunti di riflessione, anche in termini oppositivi, perché no, ma sempre utili a stabilire contorni, cornici concettuali, a spezzare stereotipi e narrazioni sclerotiche. Non dimentico la grande riflessione gramsciana, dalla quale si può trarre molto materiale ancora buono. E poi strutturalismo e post strutturalismo, da Lévi-Strauss a Deleuze e Foucault. Ma anche la riflessione sulla mitologia di Furio Jesi è particolarmente utile per il nostro caso.
Sicuramente dimentico qualcuno. È inevitabile.

Quel che conta è che si affronti la lettura e lo studio con uno sguardo più aperto e sereno. Questo troppo spesso è mancato in Sardegna. Molti nostri grandi intellettuali (penso a un Mialinu Pira) si sono arrestati sulla soglia delle conseguenze lineari delle premesse che essi stessi avevano posto. Per paura, per conformismo, per solitudine, non lo so. L’intellettualità sarda – tenuto conto delle debite eccezioni, che per fortuna non mancano (faccio un nome non casuale: Michela Murgia) – è ancora molto indietro, su questo terreno, così come l’università, tragicamente arroccata su un conservatorismo privo di prospettive, fattore frenante, anziché trainante, della nostra emancipazione culturale e civile. Paradossalmente si trova materiale interessante più su pubblicazioni accademiche internazionali che su quelle sarde (e non parliamo di quelle italiane). Un esempio su tutti è quello di Eve Hepburn, scozzese, una dei massimi studiosi della politica sarda contemporanea. Ovviamente, pressoché sconosciuta in Sardegna.


6) Come si raggiunge l’indipendenza? Ha basi fondate questo percorso?


L’indipendenza è un progetto complesso. Deve tenere conto di diversi livelli di intervento e di diversi fattori determinanti. Quello culturale, quello economico, quello politico e quello giuridico. In generale è ragionevole aspettarci che venga raggiunta in termini democratici e condivisi, in base al diritto internazionale, attraverso negoziazioni e passaggi istituzionali pianificati a puntino. Un po’ quel che hanno fatto Repubblica Ceca e Slovacchia, al momento della separazione. O come il processo avviato da Groenlandia e Danimarca. Le sorti della Scozia nei prossimi due, tre anni ci diranno poi ancora qualcosa sui percorsi e gli esiti possibili.


Certo è che non si può prendere in considerazione, da alcun punto di vista, il percorso eversivo violento, il conflitto armato, come strumento di liberazione ed edificazione della repubblica di Sardegna. Ce lo suggerisce, oltre che il buon senso, anche la storia dei movimenti di liberazione nazionale europei contemporanei. Ma noi, e in fondo tutto l’indipendentismo sardo, seppur non condividendo esplicitamente la scelta nonviolenta (che è quella che contraddistingue, nella teoria e anche nella prassi, ProgReS), abbiamo ormai maturato la coscienza della necessità di un percorso democratico.
Bisognerebbe intanto cominciare a esercitare compiutamente tutta la sovranità che l’ordinamento giuridico attuale ci consentirebbe. Cosa che le forze politiche dominanti in Sardegna si sono sempre guardate bene dal fare. Inoltre si dovrebbe spingere per allargare tali spazi di sovranità, fino all’estremo limite consentito dalla vigenza dell’ordinamento giuridico italiano in Sardegna. Ma questo sarebbe solo strumentale a preparare il terreno per il salto decisivo: la vertenza storica per la nostra acquisizione definitiva e completa della sovranità e per il nostro riconoscimento giuridico a livello internazionale. Sarà probabilmente necessario, in una fase avanzata di questo percorso, un referendum popolare, non certo consultivo “regionale”, ma con valore giuridico dirimente a tutti gli effetti, organizzato e gestito sotto l’egida dell’ONU, con tutte le garanzie del caso.

Da poco leggevo dei commenti a proposito del referendum consultivo per cui ha raccolto le firme Maluentu, il gruppo di Doddore Meloni. Una delle argomentazioni forti degli oppositori radicali a questo discorso è che la costituzione italiana non prevede la separazione di un pezzo del territorio dello stato. Ma questo è un argomento capzioso, piuttosto puerile. È chiaro che un ordinamento giuridico statale non può prevedere la possibilità del proprio smembramento. Ma nel caso della nascita di uno stato nuovo non si ragiona in termini di diritto interno, bensì in termini di diritto internazionale. Il diritto all’autodeterminazione dei popoli è sancito dalle convenzioni internazionali a cui aderisce anche l’Italia. I meccanismi della autoproclamazione di indipendenza sono già stati fatti valere: esistono precedenti anche relativamente recenti, in quest’ambito, che non possono essere ignorati. Senza contare che l’indipendenza della Sardegna non menomerebbe in alcun modo il territorio italiano, di cui geograficamente non fa parte. Non creerebbe alcun problema di confini o di giurisdizione.

Certamente la cosa va preparata e gestita nel migliore dei modi, senza trascurare le necessarie misure economiche e sociali che diano alla Sardegna una base solida su cui fondare il proprio ordinamento giuridico sovrano. Qui c’è un nodo decisivo dell’intero processo. La creazione di dinamiche virtuose di tipo economico, connessa alla questione energetica. Le possibilità ci sono tutte, le risorse – a dispetto di quanto ancora si racconta – ci sono ugualmente. Basta metterle a frutto in nome e per conto degli interessi generali e diffusi dei sardi, e non a vantaggio dei vari padroni esterni a cui tanta parte della classe dominante sarda fa riferimento.


7) Quale Sardegna indipendente?


Viviamo in una fase di transizione storica. Che ci piaccia o no. Questo genere di fasi storiche non comporta mai soluzioni lineari, rapide e indolori. E non sappiamo bene cosa ci riservi il futuro, nemmeno quello prossimo. Di solito queste transizioni tendono a far prevalere gli elementi di conflitto, su varia scala, senza escludere la guerra. È bene tenerne conto, senza farci troppe illusioni circa una nostra esenzione dalle brutture cui la nostra specie si dedica da sempre così volentieri. Nondimeno è doveroso analizzare la situazione presente a livello generale e provare a inserirvi la nostra prospettiva, anche ipotizzando scenari drammatici in ambito finanziario, economico e politico nel breve periodo.
La Sardegna ha bisogno di riappropriarsi del proprio territorio e di gestire le proprie risorse nel proprio interesse. Questo comporta, al contrario di quanto predicano i detrattori dell’indipendentismo, una totale apertura verso tutte le interdipendenze che oggi ci sono drammaticamente preculuse dal filtro costituito dalle istituzioni e dagli interessi italiani. L’orizzonte di riferimento della Sardegna deve essere a 360°, aperto verso ogni direzione, compresa la sponda sud del Mediterraneo. Oggi il nostro orizzonte è un arco di circonferenza che va da Roma a Milano.
Nel perdurare dei sommovimenti che caratterizzeranno la storia europea e mediterranea dei prossimi anni sarà indispensabile che ci ritagliamo una nostra soggettività riconosciuta e che la spendiamo per promuovere tutti i processi di integrazione possibili, sia in Europa sia in ambito mediterraneo. Sarà una prospettiva anti-ciclica, nel senso che tutto sembra spingere in direzione opposta, verso i particolarismi, i nuovi nazionalismi, le discriminazioni e i conflitti. Ma noi abbiamo la possibilità di essere per una volta un laboratorio economico, politico e culturale virtuoso, e non il laboratorio per gli esperimenti interessati di qualcun altro, come siamo da un paio di secoli in qua.
La nostra ricchezza culturale fa di noi già adesso una nazione plurale. Abbiamo un patrimonio linguistico particolarmente ricco, per esempio, che ci connette col mondo intorno a noi. La nostra condizione demografica, inoltre, ci consentirebbe una politica di accoglienza ben diversa dalle chiusure xenofobe di molta parte dell’Europa e del Mediterraneo. L’indipendenza nazionale sarda non potrà basarsi su alcun essenzialismo etnico o sulla discriminazione in base alla provenienza. È e sarà sardo chi vuole esserlo.
La Sardegna potrebbe essere la patria di tutti gli esseri umani liberi. Di tutti i talenti creativi in cerca di occasioni. Noi stessi di talento creativo ne produciamo in misura davvero notevole: basterebbe far diventare questa enorme risorsa umana il motore della nostra convivenza, anziché un effetto collaterale e tutto sommato clandestino della nostra precarietà storica attuale.
Si imporrebbe con ogni evidenza una scelta decisa contro la guerra, una proclamazione di neutralità attiva e non di comodo, onde evitare di essere schiacciati dai giochi geopolitici tra potenze regionali e globali nello scenario mediterraneo (esito a cui invece siamo esposti oggi, e non c’è nemmeno bisogno di evocare le nostre servitù militari, per capirlo). Dico neutralità attiva, perché dovrebbe farsi valere sullo scenario internazionale, grazie alla conquistata rappresentanza nelle sedi in cui gli stati hanno voce in capitolo, da quella europea all’ONU.
L’Italia, posto che esista ancora di qui a dieci anni, non sarebbe affatto un avversario. Non c’è alcuna necessità di impostare la nostra emancipazione politica su una base conflittuale con l’Italia. A meno che non sia l’Italia a volerlo. La maggior parte delle magagne che ci affliggono dipendono da responsabilità nostre. Meglio chiarirlo. L’Italia, se vorrà, sarà un nostro partner commerciale, politico e culturale, come gli altri. La Sardegna è una terra ricca, da molti punti di vista. Si tratta solo di liberare questa ricchezza e di inserirla proficuamente in una rete di relazioni produttive in senso materiale e immateriale che la esalti, sia all’interno sia con l’esterno. Tutto ciò è e sarà possibile solo in un quadro di indipendenza nazionale.


Non c’è alcuna alternativa pratica credibile, nel mondo attuale. Non c’è altra sede che un ordinamento giuridico sovrano per appropriarci di una soggettività politica legittima e riconosciuta in sede internazionale e per offrire ai sardi uno spazio minimo di libertà, di cura di se stessi e ragionevoli aspettative di benessere diffuso. Se l’Unione Europea resisterà agli scossoni presenti e a quelli incombenti, è chiaro che dovremo poter giocare le nostre carte anche in quell’ambito, provando a contribuire alla sua evoluzione, se necessario.
Egoisticamente potremmo anche dire che il momento di crisi globale è favorevole a un percorso di indipendenza della Sardegna più di una situazione di relativa stabilità. Non dico che dovremmo approfittarne (perché non funzionano in modo così schematico, queste cose), ma crisi vuol dire anche possibilità e certo noi non dobbiamo esserne spaventati. Abbiamo ben poco da perdere, se non le nostre catene.


LACANAS