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venerdì 22 giugno 2012

La crisi del capitalismo e la lotta di liberazione nazionale in Sardigna


Crisi capitalista e indipendenzaDa un secolo all’altro.
Esattamente un secolo fa l’Europa viveva una stagione particolarmente travagliata.
Lo sviluppo industriale, così come aveva accelerato a grande velocità il progresso tecnologico, lacerava terribilmente la società dividendola tra masse enormi di diseredati e sfruttati e ristrette élites di ricchi capitalisti e borghesi. Le banche preparavano la più sanguinosa delle battaglie, avviando il processo di costituzione dei monopoli mondiali dell’industria e della finanza. A causa principalmente di questo fattore, e per accumulare al più presto un vantaggio sui concorrenti, le guerre di aggressione coloniale si susseguivano nei confronti di Asia e Africa.
Nei parlamenti degli Stati europei, salvo eccezioni, le destre e le sinistre si fronteggiavano a suon di scandali, unendosi solennemente come un corpo solo ogni qualvolta fosse necessario salvaguardare le esigenze dei banchieri e dei capitalisti, a partire da questioni fiscali sino ad avviare una spaventosa corsa agli armamenti e a dare il via libera ad una serie di sanguinose guerre coloniali e imperialiste. Le classi benestanti, da parte loro, si godevano la Belle Époque, reagendo con una buona dose di ottimismo ai minacciosi segnali di distruzione che offuscavano l’orizzonte.
Il nostro Paese, la Sardigna, sfruttata e martoriata dalla rapina prima piemontese e poi italiana, pativa una delle stagioni più nere della sua lunga storia. Terreno di caccia per ogni avventuriero straniero, popolata da genti vessate in maniera disumana, la nostra patria sopportava come una bestia da soma qualsiasi sopruso, accettava qualsiasi compromesso lasciando assopite le sue antiche aspirazioni d’indipendenza sotto il giogo coloniale italiano. Si obbligavano i Sardi a professarsi italiani, e, non appena essi pensarono di esserlo, l’Italia li premiò macellandoli sulle trincee per i suoi insaziabili sogni coloniali.
Purtroppo ciò che qui viene descritto come scenario europeo di un secolo fa, può essere riletto anche come descrizione dell’Europa dell’inizio di questo secolo, come valutazione di ciò che tragicamente si profila sotto i nostri occhi.


La crisi è strutturale.
Innanzitutto va detto che la crisi del capitalismo occidentale è strutturale e di lungo corso e non è reversibile. La crisi dei mutui e dei cosiddetti “titoli tossici” americani che ha dato il via alla crisi internazionale mettendo in ginocchio molte grandi banche d’affari e che sta intossicando il mercato della finanza mondiale non è infatti una disgrazia caduta dal cielo ma una necessaria conseguenza del sistema capitalistico. Le crisi strutturali del capitalismo mettono in discussione il modello di accumulazione capitalistico e provocano gravi collassi e scompensi di natura economica, che si risolvono storicamente con grandi conflitti militari e ristrutturazioni geopolitiche, spesso totalmente incontrollabili.
Solo per fare un esempio, l’ultima crisi strutturale del capitalismo risale al 1929, dalla quale il mondo uscì con il nuovo modello fordista e keynesiano (sostegno alla domanda) e con la Seconda Guerra mondiale.
La crisi attuale del capitalismo è molto più critica di quella del 1929 perché coincide con lo sviluppo di nuovi poli economici in piena ascesa (Sud America, India, Cina) in un’economia ormai globalizzata e in piena situazione di stallo dell’economia reale (legata alla produzione), a tutto vantaggio e sviluppo dell’economia finanziaria e della speculazione bancaria. A questa crisi le classi dirigenti capitalistiche hanno cercato di rispondere con politiche economiche basate sul monetarismo. La principale e più accreditata nei circoli dominanti è la “Modern Money Theory” che si basa sulla necessità di ridurre la spesa pubblica mediante una politica economica sempre basata su trattamenti di forte austerità e di contenimento del costo del lavoro.
I media e i politici borghesi cercano di far passare l’idea che la crisi sia determinata dall’evasione fiscale e da strane e imprevedibili congiunture economiche. In realtà le cose non stanno così. La causa della crisi strutturale dell’economia capitalistica consiste nella dipendenza dalla speculazione borsistica e finanziaria e dal debito pubblico (chiamato anche “sovrano”) degli Stati occidentali.
Basti pensare che nel 2010 il PIL mondiale legato all’economia reale ammontava a 74.000 miliardi di dollari e nello stesso anno il mercato obbligazionario valeva 95.000 miliardi di dollari, il mercato borsistico 50.000 miliardi di dollari e i derivati 600.000 miliardi di dollari. Come se una persona guadagnasse 10.000 euro in un anno di lavoro ma ne spendesse 100.0000 firmando cambiali e firmando assegni scoperti convinto di avere un fido bancario pressoché illimitato. Un’economia di carta sorretta soltanto dall’arroganza militare dell’Occidente, da una massiccia propaganda mediatica e dalla fiducia indotta verso il sistema capitalistico che porta i creditori a non richiedere di rientrare in possesso delle proprie risorse. Per far fronte a quest'indebitamento emettono dei titoli su cui pagano degli interessi. Per esempio lo Stato italiano per coprire i 2.000 miliardi di euro di debito emette dei titoli che si chiamano BOT, BTP, CCT, CTZ, BTP che cerca di piazzare sul mercato azionario con la speranza che qualcuno li compri. Se nessuno li compra lo Stato fallisce perché si trova totalmente sguarnito di liquidità con cui pagare i servizi e gli interessi al debito: praticamente un circolo vizioso infernale da cui è impossibile uscire rimanendo nel solco dell’economia a “libero mercato”. Ecco spiegato perché gli Stati, anche se sono indebitati fino al collo, non risparmiano sulle spese militari: perché il possesso di tecnologie belliche molto moderne garantisce la loro unica possibilità di mantenere il loro primato e di alimentare la “fiducia” nel sistema. L’Occidente capitalistico è dunque una gigantesca banca in bancarotta che teme la folla dei creditori inferociti e si arma fino ai denti per salvarsi la pelle!

Crisi e nuova dittatura economica.
Bisogna anche sapere che il 90% del mercato dei derivati finanziari è in mano a quattro grandi banche d’affari: JP Morgan Chase Bank, Citibank National, Bank of America e Goldman Sachs Bank. In particolare la The Goldman Sachs Group, Inc. è una delle più grandi banche d'affari del mondo. Questa grande banca fa profitti fornendo azioni di titoli di debito, facendo brokeraggio ad alti livelli, e piazzando i titoli di debito dei governi occidentali a rischio default.
In sintesi le grandi banche d’affari fanno soldi con la crisi,  cioè comprando e vendendo i titoli di debito. Nel frattempo gli esponenti più in vista di queste banche entrano nei governi per indirizzare politiche monetarie favorevoli alla speculazione finanziaria rispetto all’economia reale. Non è un caso per esempio che fra gli ex consulenti più illustri della Sachs Bank figurino l’ex presidente del Consiglio italiano Romano Prodi, Gianni Letta, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri nei governi guidati da Silvio Berlusconi, il Governatore della Banca centrale europea Mario Draghi e l’attuale Presidente del Consiglio italiano Mario Monti. Insomma la crisi serve ovunque per far accettare all’opinione pubblica la necessità delle privatizzazioni, per riformare in senso radicalmente liberista il mercato del lavoro e per ristrutturare in senso verticistico e militare la società dei consumi e dell’alta finanza.

Il tramonto dell’eurozona.
La UE, nonostante la propaganda martellante sull’unità europea, è spaccata in almeno tre grandi macroaree economiche ben distinte. A Nord gli Stati della mitteleuropa con l’aggiunta di Francia e Inghilterra ad egemonia tedesca si fondano su un’economia industriale basata sull’export e sull’intervento dello Stato nell’economia. Ad Est Paesi ad economia debole sono attirati nell’eurozona come mosche sul miele al fine di conquistare appetibili zone di mercato, sottraendole ai competitori russi ed asiatici. A Sud (area mediterranea) invece ci sono invece i cosiddetti Stati PIIGS (dalle iniziali dei nomi degli Stati che in inglese significa “maiali”: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, con l’aggiunta dell’Irlanda, destinati a diventare velocemente un’area di colonizzazione interna, a cui imporre la deindustrializzazione, le privatizzazioni e un ruolo da meri consumatori ed importatori dei produttori europei ad economia più solida. I Piigs risultano essere “importatori ideali” e il loro debito (che cresce ogni giorno di più) è del tutto complementare agli Stati dotati di surplus economico e finanziario.
Insomma, andando oltre la cortina della propaganda sull’Europa dei popoli e dei cittadini, appare abbastanza evidente che  la UE e l’unione monetaria sono servite in realtà ad abbattere ogni barriera allo sviluppo dell’export dell’area nord europea ad egemonia tedesca e a competere nei giochi di borsa con il dollaro e lo yen.
Lo scambio ineguale all’interno della UE si reggeva ovviamente sull’illusione neoliberista che la crescita dei consumi (almeno in Occidente) potesse essere infinita. In modo simile a quanto avvenuto per la bolla dei mutui negli USA, il mercato europeo ha ignorato per anni le fragilità del sistema su cui si sorreggeva la sua economia puntando tutto sulla stabilità del mercato data dall’unità politica dei governi europei e dalla forza militare dell’Occidente sul resto del mondo. In altre parole la festa è finita e agli stati debitori vengono imposte pesanti misure di austerità per pagare i debiti, come appunto accade in Italia e in Grecia. FMI e BCE coordinano le operazioni e indirizzano le politiche in questa direzione ma l’austerità non riuscirà a pareggiare i bilanci, che sono semplicemente impareggiabili anche a costo di enormi sacrifici.

Venti di guerra.
A testimonianza di questa tendenza alla concentrazione al vertice della UE sta la gestione di due organismi che dimostrano la vera natura colonialista e imperialista del processo di unificazione europea.
- Il primo è il MES "Meccanismo Europeo di Stabilità": una istituzione che dovrà affrontare la crisi dei debiti sovrani che ha pieni poteri per affrontare le insolvenze. Una sorta di fondo monetario europeo che verrà istituito dalla metà del 2013 per rispondere alle crisi dei Paesi dell’eurozona a capitale iniziale di 700 miliardi approvato in sordina per evitare la bancarotta degli Stati dell’eurozona. Tutti gli stati della UE devono corrispondere la loro quota al MES (le prime tre quote sono della Germania che mette 190 miliardi, la Francia 160 e l’Italia 125 miliardi). Ma il capitale di 700 miliardi è solo l’inizio: il consiglio di gestione del MES può richiedere ai Paesi membri, a suo insindacabile giudizio, ogni tipo di somma e sarà assolutamente immune da qualunque procedimento legale e i suoi documenti saranno inviolabili. Avrà poteri finanziari pressoché illimitati e potrà pretendere dagli stati UE infinite somme di denaro per far fronte alla crisi monetaria. Si tratta in pratica di una super cabina di regia dell’alta finanza europea finalizzata a spostare ingenti capitali dal pubblico al privato senza dover sottostare ad alcuna regola e controllo.
-       Il secondo organismo in via di attuazione è la polizia europea Eurogendfor. Una polizia europea con super poteri giudiziari e militari che avrà doppio comando europeo e NATO (la sua sede sarà Vicenza, dove cioè risiede il comando USA di Camp Ederle). Questa nuova polizia sarà svincolata dal controllo del governo e del parlamento statale ed obbedirà direttamente a super comandi europei e NATO. Godrà della totale immunità giudiziaria da parte dei Paesi ospitanti.
Da queste poche tessere appare chiaro il mosaico: la UE sta rivelando la sua vera natura centralistica, poliziesca e colonialista, utilizzando la crisi monetaria in cui versa il capitalismo occidentale per ristrutturarsi su un piano politico-militare preparatorio alla guerra esterna e alla guerra interna. Gli Stati membri stanno velocemente perdendo le loro sembianze di stati democratici sovrani e stanno velocemente diventando gangli di un unico polo imperialista governato dalle banche, dall’alta finanza e dalla NATO.
In sintesi la favoletta dell’Europa dei popoli a cui hanno creduto riformisti, comunisti a parole, perfino formazioni indipendentiste e anime pie di ogni sorta, non esiste e non esisterà mai. Ciò che esiste e che è in via di rafforzamento è invece l’Europa dei potentati bancari e finanziari affamatori in una prospettiva di unificazione europea totale fondata sulla cancellazione dello stesso concetto di sovranità politica ed economica degli stati.

La lotta per l’indipendenza e per il socialismo in questo contesto.
Come possiamo, da Sardi e a maggior ragione da indipendentisti, non ricordare che, prima la CEE e poi la UE, hanno costantemente pianificato la devastazione della nostra economia e del nostro tessuto sociale? Quando nel 1988 i picciotti italiani della Regione Sarda vararono la legge 44 per il sostegno alle aziende in crisi sapevano benissimo che la legislazione europea sarebbe stata contraria. I politici italianisti della Regione sapevano, il Banco di Sardegna sapeva, la finanza italiana sapeva e quella europea ugualmente sapeva e agiva di conseguenza, tutti ben consci che si stava distruggendo la vita di trentamila Sardi in difficoltà economica, destinando le loro aziende ad essere vendute all’asta. Nessuno di loro pagò mai per questo comportamento illecito, ma tuttavia oggi quei lavoratori che da loro sono stati truffati vedono le loro aziende portate via dagli speculatori per un pugno di spiccioli.
Un caso? Una terribile svista? Crediamo proprio di no! Come ben sappiamo, nei decenni scorsi la Comunità Europea ha più volte finanziato lo smantellamento di grossi settori dell’economia sarda, ingannando le nostre genti che con qualche manciata di contributi credevano di poter uscire dalla miseria e concedersi qualche agiatezza. Hanno convinto i Sardi che prendere contributi per abbattere i bovini avrebbe avvantaggiato loro e non i grandi allevatori tedeschi, che estirpare le vigne avrebbe avvantaggiato loro e non i grandi produttori vitivinicoli francesi e italiani. Così, di contributo in contributo, di settore in settore, ci hanno stretto nella morsa delle quote. Quote che vengono stabilite – in prezzo e quantità – sulla base delle necessità dei grandi capitalisti europei e non certo in base alle esigenze dell’economia sarda. Oggi i nostri allevatori e agricoltori sono praticamente immobilizzati e stretti all’angolo dalle politiche economiche europee veicolate dallo Stato italiano e dalla Regione.
Detto questo è chiaro che la causa della liberazione dei popoli e dei lavoratori è contraria alla concentrazione europea. Affermare il contrario è fuorviante e pericoloso, perché o si sta con la causa dei popoli e dei lavoratori o si sta con gli imperialisti e i colonialisti dell’Unione Europea! Per questo motivo la sinistra indipendentista sarda pensa che una lotta di liberazione nazionale non possa che essere svolta nel solco della lotta contro il consolidamento economico, politico e militare dell’Europolo. Una lotta indipendentista coerente deve necessariamente svolgersi cioè nel solco di una opposizione frontale alle linee di ristrutturazione economica e politica dell’Europa e del tridente capitalistico (USA-UE-JP) in cui questa è inserita.
Quale posizione deve avere a nostro avviso il movimento di liberazione nazionale sardo davanti alla catastrofe che il capitalismo nella sua versione imperialista e di alta finanza sta preparando per lavoratori e popoli oppressi? Non abbiamo la sfera magica per predire il futuro, ma su almeno tre punti dobbiamo essere chiari e individuare una possibile strategia di massima su cui lavorare insieme ai movimenti rivoluzionari ed indipendentisti europei.
Il processo di liberazione nazionale e la formazione di uno Stato sardo libero e sovrano dovrà, a tempo debito, affermare almeno tre principi di politica economica internazionale:
- Dichiarare nulla ogni quota di debito assegnata alla Sardigna contratta dall’Italia e reclamare a livello internazionale la necessità di risolvere la vertenza entrate.
- Stabilire con i popoli del Mediterraneo trattative per rafforzare i rapporti di scambio e cooperazione lavorando ad una alternativa economica mediterranea alla UE basata sulla solidarietà e sullo scambio cooperativo.
- Uscire dall’eurozona abbandonando l’euro e stampare moneta sarda o mediterranea sovrana.
In una prospettiva di crisi strutturale del capitalismo finanziario internazionale e di ristrutturazione delle istituzioni europee in senso schiettamente monopolistico, centralistico e militarista, l’ambito mediterraneo può riacquistare un protagonismo inedito. Da sempre A Manca pro s’Indipendentzia sostiene che l’ambito mediterraneo può e deve essere lo scenario privilegiato dei popoli senza Stato dell’ambito sud europeo e delle nazioni del nord Africa.
Uscire dalla zona euro è fondamentale prima che per ragioni monetarie per ragioni produttive. La Sardigna sta in una relazione di dipendenza e sottosviluppo con l’Italia. Ora l’Italia sta in effetti diventando una zona a sua volta dipendente dalle forti economie esportatrici del nord Europa. Vogliamo davvero rassegnarci ad essere la periferia marginale e sottomessa di uno Stato che a sua volta è in via di forte marginalizzazione nell’ambito europeo? O vogliano ambire ad essere centro di una trasformazione economica e civile insieme agli altri popoli che si affacciano sul Mediterraneo che attualmente appunto sono in piena fibrillazione? Vogliamo subire il declino di uno Stato a capitalismo avanzato che si affaccia a decenni di crisi strutturale e che verrà sacrificato sull’altare del capitalismo monopolistico? Vogliamo pagare i forti squilibri finanziari, di carattere produttivo, di deindustrializzazione, di servitù energetica e di scandalosa concentrazione del patrimonio dopo che per anni abbiamo pagato la sua crescita?

La sinistra indipendentista sarda lavorerà per portare il movimento indipendentista verso una presa di posizione storica: la formazione di un nuovo blocco politico, economico e sociale capace di realizzare un modello di accumulazione favorevole ai lavoratori e alle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo.
Con questa prospettiva il movimento di liberazione nazionale sardo deve guardare alle sue alleanze internazionali e alle prospettive di politica economica nei prossimi anni, dichiarando fin da subito la necessità di rompere con l’Europa delle banche, degli Stati verticisti (a partire dallo Stato coloniale italiano) e dei grandi oligopoli finanziari. In questa prospettiva occorre sancire fin da subito l’estraneità del popolo sardo ad ogni operazione militare imperialista, ed a maggior ragione per qualsiasi opzione di utilizzo del suo territorio nazionale come base operativa e logistica sullo scenario della competizione economica e geopolitica internazionale. 

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