Da un secolo all’altro.
Esattamente un secolo fa l’Europa viveva una stagione particolarmente travagliata.
Lo
sviluppo industriale, così come aveva accelerato a grande velocità il
progresso tecnologico, lacerava terribilmente la società dividendola tra
masse enormi di diseredati e sfruttati e ristrette élites di ricchi
capitalisti e borghesi. Le banche preparavano la più sanguinosa delle
battaglie, avviando il processo di costituzione dei monopoli mondiali
dell’industria e della finanza. A causa principalmente di questo
fattore, e per accumulare al più presto un vantaggio sui concorrenti, le
guerre di aggressione coloniale si susseguivano nei confronti di Asia e
Africa.
Nei
parlamenti degli Stati europei, salvo eccezioni, le destre e le
sinistre si fronteggiavano a suon di scandali, unendosi solennemente
come un corpo solo ogni qualvolta fosse necessario salvaguardare le
esigenze dei banchieri e dei capitalisti, a partire da questioni fiscali
sino ad avviare una spaventosa corsa agli armamenti e a dare il via
libera ad una serie di sanguinose guerre coloniali e imperialiste. Le
classi benestanti, da parte loro, si godevano la Belle Époque, reagendo
con una buona dose di ottimismo ai minacciosi segnali di distruzione che
offuscavano l’orizzonte.
Il
nostro Paese, la Sardigna, sfruttata e martoriata dalla rapina prima
piemontese e poi italiana, pativa una delle stagioni più nere della sua
lunga storia. Terreno di caccia per ogni avventuriero straniero,
popolata da genti vessate in maniera disumana, la nostra patria
sopportava come una bestia da soma qualsiasi sopruso, accettava
qualsiasi compromesso lasciando assopite le sue antiche aspirazioni
d’indipendenza sotto il giogo coloniale italiano. Si obbligavano i Sardi
a professarsi italiani, e, non appena essi pensarono di esserlo,
l’Italia li premiò macellandoli sulle trincee per i suoi insaziabili
sogni coloniali.
Purtroppo
ciò che qui viene descritto come scenario europeo di un secolo fa, può
essere riletto anche come descrizione dell’Europa dell’inizio di questo
secolo, come valutazione di ciò che tragicamente si profila sotto i
nostri occhi.
La crisi è strutturale.
Innanzitutto va detto che la crisi del capitalismo occidentale è strutturale e di lungo corso e non è reversibile. La
crisi dei mutui e dei cosiddetti “titoli tossici” americani che ha dato
il via alla crisi internazionale mettendo in ginocchio molte grandi
banche d’affari e che sta intossicando il mercato della finanza mondiale
non è infatti una disgrazia caduta dal cielo ma una necessaria
conseguenza del sistema capitalistico. Le
crisi strutturali del capitalismo mettono in discussione il modello di
accumulazione capitalistico e provocano gravi collassi e scompensi di
natura economica, che si risolvono storicamente con grandi conflitti
militari e ristrutturazioni geopolitiche, spesso totalmente
incontrollabili.
Solo
per fare un esempio, l’ultima crisi strutturale del capitalismo risale
al 1929, dalla quale il mondo uscì con il nuovo modello fordista e
keynesiano (sostegno alla domanda) e con la Seconda Guerra mondiale.
La
crisi attuale del capitalismo è molto più critica di quella del 1929
perché coincide con lo sviluppo di nuovi poli economici in piena ascesa
(Sud America, India, Cina) in un’economia ormai globalizzata e in piena
situazione di stallo dell’economia reale (legata alla produzione), a
tutto vantaggio e sviluppo dell’economia finanziaria e della
speculazione bancaria. A questa crisi le classi dirigenti capitalistiche
hanno cercato di rispondere con politiche economiche basate sul
monetarismo. La principale e più accreditata nei circoli dominanti è la
“Modern Money Theory” che si basa sulla necessità di ridurre la spesa
pubblica mediante una politica economica sempre basata su trattamenti di
forte austerità e di contenimento del costo del lavoro.
I
media e i politici borghesi cercano di far passare l’idea che la crisi
sia determinata dall’evasione fiscale e da strane e imprevedibili
congiunture economiche. In realtà le cose non stanno così. La causa
della crisi strutturale dell’economia capitalistica consiste nella
dipendenza dalla speculazione borsistica e finanziaria e dal debito
pubblico (chiamato anche “sovrano”) degli Stati occidentali.
Basti
pensare che nel 2010 il PIL mondiale legato all’economia reale
ammontava a 74.000 miliardi di dollari e nello stesso anno il mercato
obbligazionario valeva 95.000 miliardi di dollari, il mercato borsistico
50.000 miliardi di dollari e i derivati 600.000 miliardi di dollari.
Come se una persona guadagnasse 10.000 euro in un anno di lavoro ma ne
spendesse 100.0000 firmando cambiali e firmando assegni scoperti
convinto di avere un fido bancario pressoché illimitato. Un’economia di
carta sorretta soltanto dall’arroganza militare dell’Occidente, da una
massiccia propaganda mediatica e dalla fiducia indotta verso il sistema
capitalistico che porta i creditori a non richiedere di rientrare in
possesso delle proprie risorse. Per far fronte a quest'indebitamento
emettono dei titoli su cui pagano degli interessi. Per esempio lo Stato
italiano per coprire i 2.000 miliardi di euro di debito emette dei
titoli che si chiamano BOT, BTP, CCT, CTZ, BTP che cerca di piazzare sul
mercato azionario con la speranza che qualcuno li compri. Se nessuno li
compra lo Stato fallisce perché si trova totalmente sguarnito di
liquidità con cui pagare i servizi e gli interessi al debito:
praticamente un circolo vizioso infernale da cui è impossibile uscire
rimanendo nel solco dell’economia a “libero mercato”. Ecco spiegato
perché gli Stati, anche se sono indebitati fino al collo, non
risparmiano sulle spese militari: perché il possesso di tecnologie
belliche molto moderne garantisce la loro unica possibilità di mantenere
il loro primato e di alimentare la “fiducia” nel sistema. L’Occidente
capitalistico è dunque una gigantesca banca in bancarotta che teme la
folla dei creditori inferociti e si arma fino ai denti per salvarsi la
pelle!
Crisi e nuova dittatura economica.
Bisogna
anche sapere che il 90% del mercato dei derivati finanziari è in mano a
quattro grandi banche d’affari: JP Morgan Chase Bank, Citibank
National, Bank of America e Goldman Sachs Bank. In particolare la The Goldman Sachs Group, Inc. è una delle più grandi banche d'affari del mondo. Questa grande banca fa profitti fornendo azioni di titoli di debito, facendo brokeraggio ad alti livelli, e piazzando i titoli di debito dei governi occidentali a rischio default.
In
sintesi le grandi banche d’affari fanno soldi con la crisi, cioè
comprando e vendendo i titoli di debito. Nel frattempo gli esponenti più
in vista di queste banche entrano nei governi per indirizzare politiche
monetarie favorevoli alla speculazione finanziaria rispetto
all’economia reale. Non è un caso per esempio che fra gli ex consulenti
più illustri della Sachs Bank figurino l’ex presidente del Consiglio
italiano Romano Prodi, Gianni Letta, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri nei governi guidati da Silvio Berlusconi, il Governatore della Banca centrale europea Mario Draghi e l’attuale Presidente del Consiglio italiano Mario Monti. Insomma
la crisi serve ovunque per far accettare all’opinione pubblica la
necessità delle privatizzazioni, per riformare in senso radicalmente
liberista il mercato del lavoro e per ristrutturare in senso
verticistico e militare la società dei consumi e dell’alta finanza.
Il tramonto dell’eurozona.
La UE, nonostante la propaganda martellante sull’unità europea, è spaccata in almeno tre grandi
macroaree economiche ben distinte. A Nord gli Stati della mitteleuropa
con l’aggiunta di Francia e Inghilterra ad egemonia tedesca si fondano
su un’economia industriale basata sull’export e sull’intervento dello
Stato nell’economia. Ad Est Paesi ad economia debole sono attirati
nell’eurozona come mosche sul miele al fine di conquistare appetibili
zone di mercato, sottraendole ai competitori russi ed asiatici. A Sud
(area mediterranea) invece ci sono invece i cosiddetti Stati PIIGS
(dalle iniziali dei nomi degli Stati che in inglese significa “maiali”: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, con l’aggiunta dell’Irlanda,
destinati a diventare velocemente un’area di colonizzazione interna, a
cui imporre la deindustrializzazione, le privatizzazioni e un ruolo da
meri consumatori ed importatori dei produttori europei ad economia più
solida. I Piigs risultano essere “importatori ideali” e il loro debito
(che cresce ogni giorno di più) è del tutto complementare agli Stati
dotati di surplus economico e finanziario.
Insomma,
andando oltre la cortina della propaganda sull’Europa dei popoli e dei
cittadini, appare abbastanza evidente che la UE e l’unione monetaria
sono servite in realtà ad abbattere ogni barriera allo sviluppo
dell’export dell’area nord europea ad egemonia tedesca e a competere nei
giochi di borsa con il dollaro e lo yen.
Lo
scambio ineguale all’interno della UE si reggeva ovviamente
sull’illusione neoliberista che la crescita dei consumi (almeno in
Occidente) potesse essere infinita. In modo simile a quanto avvenuto per
la bolla dei mutui negli USA, il mercato europeo ha ignorato per anni
le fragilità del sistema su cui si sorreggeva la sua economia puntando
tutto sulla stabilità del mercato data dall’unità politica dei governi
europei e dalla forza militare dell’Occidente sul resto del mondo. In
altre parole la festa è finita e agli stati debitori vengono imposte
pesanti misure di austerità per pagare i debiti, come appunto accade in
Italia e in Grecia. FMI e BCE coordinano le operazioni e indirizzano le
politiche in questa direzione ma l’austerità non riuscirà a pareggiare i
bilanci, che sono semplicemente impareggiabili anche a costo di enormi
sacrifici.
Venti di guerra.
A
testimonianza di questa tendenza alla concentrazione al vertice della
UE sta la gestione di due organismi che dimostrano la vera natura
colonialista e imperialista del processo di unificazione europea.
- Il primo è il MES "Meccanismo
Europeo di Stabilità": una istituzione che dovrà affrontare la crisi
dei debiti sovrani che ha pieni poteri per affrontare le insolvenze. Una
sorta di fondo monetario europeo
che verrà istituito dalla metà del 2013 per rispondere alle crisi dei
Paesi dell’eurozona a capitale iniziale di 700 miliardi approvato in
sordina per evitare la bancarotta degli Stati dell’eurozona. Tutti gli
stati della UE devono corrispondere la loro quota al MES (le prime tre
quote sono della Germania che mette 190 miliardi, la Francia 160 e
l’Italia 125 miliardi). Ma il capitale di 700 miliardi è solo l’inizio:
il consiglio di gestione del MES può richiedere ai Paesi membri, a suo
insindacabile giudizio, ogni tipo di somma e sarà assolutamente immune
da qualunque procedimento legale e i suoi documenti saranno inviolabili.
Avrà poteri finanziari pressoché illimitati e potrà pretendere dagli
stati UE infinite somme di denaro per far fronte alla crisi monetaria.
Si tratta in pratica di una super cabina di regia dell’alta finanza
europea finalizzata a spostare ingenti capitali dal pubblico al privato
senza dover sottostare ad alcuna regola e controllo.
- Il secondo organismo in via di attuazione è la polizia
europea Eurogendfor. Una polizia europea con super poteri giudiziari e
militari che avrà doppio comando europeo e NATO (la sua sede sarà
Vicenza, dove cioè risiede il comando USA di Camp Ederle). Questa nuova
polizia sarà svincolata dal controllo del governo e del parlamento
statale ed obbedirà direttamente a super comandi europei e NATO. Godrà
della totale immunità giudiziaria da parte dei Paesi ospitanti.
Da
queste poche tessere appare chiaro il mosaico: la UE sta rivelando la
sua vera natura centralistica, poliziesca e colonialista, utilizzando la
crisi monetaria in cui versa il capitalismo occidentale per
ristrutturarsi su un piano politico-militare preparatorio alla guerra
esterna e alla guerra interna. Gli Stati membri stanno velocemente
perdendo le loro sembianze di stati democratici sovrani e stanno
velocemente diventando gangli di un unico polo imperialista governato
dalle banche, dall’alta finanza e dalla NATO.
In
sintesi la favoletta dell’Europa dei popoli a cui hanno creduto
riformisti, comunisti a parole, perfino formazioni indipendentiste e
anime pie di ogni sorta, non esiste e non esisterà mai. Ciò che esiste e
che è in via di rafforzamento è invece l’Europa dei potentati bancari e
finanziari affamatori in una prospettiva di unificazione europea totale
fondata sulla cancellazione dello stesso concetto di sovranità politica
ed economica degli stati.
La lotta per l’indipendenza e per il socialismo in questo contesto.
Come
possiamo, da Sardi e a maggior ragione da indipendentisti, non
ricordare che, prima la CEE e poi la UE, hanno costantemente pianificato
la devastazione della nostra economia e del nostro tessuto sociale?
Quando nel 1988 i picciotti italiani della Regione Sarda vararono la
legge 44 per il sostegno alle aziende in crisi sapevano benissimo che la
legislazione europea sarebbe stata contraria. I politici italianisti
della Regione sapevano, il Banco di Sardegna sapeva, la finanza italiana
sapeva e quella europea ugualmente sapeva e agiva di conseguenza, tutti
ben consci che si stava distruggendo la vita di trentamila Sardi in
difficoltà economica, destinando le loro aziende ad essere vendute
all’asta. Nessuno di loro pagò mai per questo comportamento illecito, ma
tuttavia oggi quei lavoratori che da loro sono stati truffati vedono le
loro aziende portate via dagli speculatori per un pugno di spiccioli.
Un
caso? Una terribile svista? Crediamo proprio di no! Come ben sappiamo,
nei decenni scorsi la Comunità Europea ha più volte finanziato lo
smantellamento di grossi settori dell’economia sarda, ingannando le
nostre genti che con qualche manciata di contributi credevano di poter
uscire dalla miseria e concedersi qualche agiatezza. Hanno convinto i
Sardi che prendere contributi per abbattere i bovini avrebbe
avvantaggiato loro e non i grandi allevatori tedeschi, che estirpare le
vigne avrebbe avvantaggiato loro e non i grandi produttori vitivinicoli
francesi e italiani. Così, di contributo in contributo, di settore in
settore, ci hanno stretto nella morsa delle quote. Quote che vengono
stabilite – in prezzo e quantità – sulla base delle necessità dei grandi
capitalisti europei e non certo in base alle esigenze dell’economia
sarda. Oggi i nostri allevatori e agricoltori sono praticamente
immobilizzati e stretti all’angolo dalle politiche economiche europee
veicolate dallo Stato italiano e dalla Regione.
Detto
questo è chiaro che la causa della liberazione dei popoli e dei
lavoratori è contraria alla concentrazione europea. Affermare il
contrario è fuorviante e pericoloso, perché o si sta con la causa dei
popoli e dei lavoratori o si sta con gli imperialisti e i colonialisti
dell’Unione Europea! Per questo motivo la sinistra indipendentista sarda
pensa che una lotta di liberazione nazionale non possa che essere
svolta nel solco della lotta contro il consolidamento economico,
politico e militare dell’Europolo. Una lotta indipendentista coerente
deve necessariamente svolgersi cioè nel solco di una opposizione
frontale alle linee di ristrutturazione economica e politica dell’Europa
e del tridente capitalistico (USA-UE-JP) in cui questa è inserita.
Quale
posizione deve avere a nostro avviso il movimento di liberazione
nazionale sardo davanti alla catastrofe che il capitalismo nella sua
versione imperialista e di alta finanza sta preparando per lavoratori e
popoli oppressi? Non abbiamo la sfera magica per predire il futuro, ma
su almeno tre punti dobbiamo essere chiari e individuare una possibile
strategia di massima su cui lavorare insieme ai movimenti rivoluzionari
ed indipendentisti europei.
Il
processo di liberazione nazionale e la formazione di uno Stato sardo
libero e sovrano dovrà, a tempo debito, affermare almeno tre principi di
politica economica internazionale:
- Dichiarare
nulla ogni quota di debito assegnata alla Sardigna contratta
dall’Italia e reclamare a livello internazionale la necessità di
risolvere la vertenza entrate.
- Stabilire
con i popoli del Mediterraneo trattative per rafforzare i rapporti di
scambio e cooperazione lavorando ad una alternativa economica
mediterranea alla UE basata sulla solidarietà e sullo scambio
cooperativo.
- Uscire dall’eurozona abbandonando l’euro e stampare moneta sarda o mediterranea sovrana.
In
una prospettiva di crisi strutturale del capitalismo finanziario
internazionale e di ristrutturazione delle istituzioni europee in senso
schiettamente monopolistico, centralistico e militarista, l’ambito
mediterraneo può riacquistare un protagonismo inedito. Da sempre A Manca
pro s’Indipendentzia sostiene che l’ambito mediterraneo può e deve
essere lo scenario privilegiato dei popoli senza Stato dell’ambito sud
europeo e delle nazioni del nord Africa.
Uscire
dalla zona euro è fondamentale prima che per ragioni monetarie per
ragioni produttive. La Sardigna sta in una relazione di dipendenza e
sottosviluppo con l’Italia. Ora l’Italia sta in effetti diventando una
zona a sua volta dipendente dalle forti economie esportatrici del nord
Europa. Vogliamo davvero rassegnarci ad essere la periferia marginale e
sottomessa di uno Stato che a sua volta è in via di forte
marginalizzazione nell’ambito europeo? O vogliano ambire ad essere
centro di una trasformazione economica e civile insieme agli altri
popoli che si affacciano sul Mediterraneo che attualmente appunto sono
in piena fibrillazione? Vogliamo subire il declino di uno Stato a
capitalismo avanzato che si affaccia a decenni di crisi strutturale e
che verrà sacrificato sull’altare del capitalismo monopolistico?
Vogliamo pagare i forti squilibri finanziari, di carattere produttivo,
di deindustrializzazione, di servitù energetica e di scandalosa
concentrazione del patrimonio dopo che per anni abbiamo pagato la sua
crescita?
La
sinistra indipendentista sarda lavorerà per portare il movimento
indipendentista verso una presa di posizione storica: la formazione di
un nuovo blocco politico, economico e sociale capace di realizzare un
modello di accumulazione favorevole ai lavoratori e alle nazioni che si
affacciano sul Mediterraneo.
Con
questa prospettiva il movimento di liberazione nazionale sardo deve
guardare alle sue alleanze internazionali e alle prospettive di politica
economica nei prossimi anni, dichiarando fin da subito la necessità di
rompere con l’Europa delle banche, degli Stati verticisti (a partire
dallo Stato coloniale italiano) e dei grandi oligopoli finanziari. In
questa prospettiva occorre sancire fin da subito l’estraneità del popolo
sardo ad ogni operazione militare imperialista, ed a maggior ragione
per qualsiasi opzione di utilizzo del suo territorio nazionale come base
operativa e logistica sullo scenario della competizione economica e
geopolitica internazionale.