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sabato 26 maggio 2012

A MANCA PRO S'INDIPENDENTZIA: Attenti, l'Isola esplode ...l'unica via d'uscita è l'indipendenza

pubblicata da SARDEGNA UNITA E INDIPENDENTE il giorno venerdì 25 maggio 2012 alle ore 13.17 ·
 



Il portavoce di “A manca”: le tensioni sociali rendono la Sardegna una pentola a pressione, l'unica via d'uscita è l'indipendenza

«La Sardegna è una pentola a pressione. Ribolle di tensioni sociali». E come il vapore nella pentola, le aspirazioni dei sardi cercano vie d'uscita: secondo Cristiano Sabino, l'indipendenza è la via giusta. Nell'ultima puntata dei forum dell'Unione Sarda e Videolina, il portavoce di A manca pro s'indipendentzia espone la sua teoria: il cammino di liberazione dell'Isola, dice replicando ad altri leader della stessa area politica, non passa dalle alleanze con i partiti italiani. E neppure dal referendum proposto da Doddore Meloni: «Ci sembra una fuga in avanti», riflette Sabino. «Sarebbe una prospettiva interessante, ma alla fine di un percorso. In Scozia l'Snp ha il 50% dei voti, ma si è rifiutato di votare già nel 2012 per staccarsi da Londra».

Farlo adesso, qui, danneggerebbe le vostre battaglie?
«Temo di sì. L'indipendentismo ha fatto passi da gigante, ma reggerebbe una cosa simile? Ci vuole un'altra preparazione».

Ma se il referendum si farà, andrete a votare?
«Affrontiamo i problemi quando si pongono. Per ora dico che c'è il rischio di bruciare uno strumento utile, se non hai alle spalle un radicamento culturale delle tue idee».

Eppure sembra che oggi tutti parlino di questi temi.
«Vedo due approcci distinti: quello formale considera l'indipendentismo solo come una nuova forma giuridica, un passaggio di consegne tra governi. Per me invece è un processo storico di liberazione di energie. Economiche e sociali».

Esistono davvero, in Sardegna, queste energie?
«Sì. La Sardegna è come imprigionata, bloccata dalla dipendenza economica».

Le ricerche dell'ateneo di Cagliari rivelano forti sentimenti identitari. Stupito?
«No, i sardi nei momenti di crisi hanno sempre reagito riscoprendo le loro radici. Dal tempo dei giudicati fino al sardismo, dopo la prima guerra mondiale. Il problema è trasformare un sentimento diffuso in progetto politico. Molti pensano che, poiché c'è questo sentimento, i sardi voteranno indipendentista. Ma la storia non dice così».

E cosa dice?
«Gli ideali illuministi nascono nel '700, ma la rivoluzione francese arriva solo a fine secolo. Prima si sperava nel dispotismo illuminato. Oggi i sardi si stanno riscoprendo sardi, ma hanno ancora fiducia che i partiti italiani risolvano i loro problemi. Gramsci diceva: il vecchio sta morendo e il nuovo non può nascere. In questo spazio nascono i fenomeni più morbosi e terribili».

A cosa allude?
«A fenomeni ibridi. Forme di semi-indipendentismo».

Intende dire che nell'attenzione di tanti partiti ai temi dell'autogoverno c'è una forte dose di opportunismo?
«Sì. Non metto in dubbio la buona fede. Ma parlare di sovranità senza indipendenza lo trovo un assurdo logico, giuridico e storico».

La sovranità è il nuovo slogan di indipendentisti come Gavino Sale e Claudia Zuncheddu.
«La sovranità si ha quando c'è uno Stato. Lo ha detto anche la Corte costituzionale, bocciando la legge sarda sulla Consulta statutaria: autonomia e sovranità sono concetti opposti, dialettici».

Oggi l'indipendentismo non è maggioritario. Perciò si immagina un avvicinamento graduale, basato su “segmenti di sovranità”.
«Va bene la gradualità. Ma quella strategia non la capisco. Se tutti vogliono i nuovi spazi di sovranità, da Cappellacci a Soru, perché non li creano? Perché è impossibile. Mi sembra una strategia impalpabile».

Quindi voi escludete alleanze con i partiti italiani?
«Nella maniera più assoluta. La nostra strategia è solo la Convergenza nazionale indipendentista».

La Convergenza non è partita benissimo.
«Però è partita. Ed è una novità. Varie sigle hanno lavorato per un anno, lontano da scadenze elettorali, producendo una carta che è il dna, il codice genetico dell'indipendentismo. Valori condivisi e proposte».

È un cartello elettorale?
«Si vedrà. Diciamo che siamo disposti a ragionare con chiunque accetti quei valori e quelle proposte. Che non sono solo di A manca. Noi siamo un partito socialista, molto orientato su questioni di classe. Sono sicuro che se mi siedo con Sel a discutere un concetto di nazione non siamo d'accordo».

Proprio Sel ha proposto l'alleanza “sovranista”.
«Sì, ma loro accolgono Napolitano col tricolore inneggiando al Risorgimento. Noi gli avremmo chiesto semmai perché non ci restituisce i soldi che ci deve».

E del Psd'Az, ritornato a posizioni nettamente indipendentiste, cosa pensa?
«La storia dei sardisti è abbastanza noiosa: parte indipendentista, ricade nell'unionismo, recupera l'indipendentismo, ricade ancora. È ciclica».

Quindi nessun entusiasmo per il loro ordine del giorno, approvato dal Consiglio regionale, sulle ragioni della permanenza della Sardegna nella Repubblica italiana?
«È un segno dei tempi. Non parlerei di entusiasmo, ma è un testo interessante. Apre nuovi scenari. Ma non crediamo che dalle stanze dei partiti che l'hanno votato possa venire la libertà. Col Psd'Az può esserci dialogo se interrompe la connivenza con i partiti coloniali. Tutti, però. Non è che se si passa da Berlusconi a Vendola si è meno coloniali».

Allora il suo giudizio sarà negativo su tutte le Giunte regionali, di entrambi i poli.
«È così. Anche se è vero che ci sono delle differenze, almeno tra le persone».

Ha votato ai referendum del 6 maggio? Secondo Bustianu Cumpostu, cancellare le Province è stata una vittoria indipendentista.
«Non ho votato. Non erano referendum anticasta: Vargiu e i Riformatori sono proprio la casta. Portare a 50 i consiglieri regionali riduce gli spazi di democrazia, dà potere alla piccolissima cerchia di chi si può comprare l'elezione».

E le Province?
«Non si poteva abolirle senza un'alternativa. I referendari stanno in Consiglio regionale: perché non hanno fatto le riforme, invece che spendere soldi per i referendum? Noi, quando ci candidammo alla Regione, proponemmo di ridurre gli stipendi dei consiglieri a 2.000 euro. Così sì, che si tagliano i costi della politica».

Nel passato di “A manca” ci sono arresti, accuse di terrorismo. Come li valuta?
«È normale che uno Stato reagisca con violenza a un progetto di liberazione di una terra col 70% delle basi militari italiane, poligoni per cui lo Stato incassa canoni dalle altre nazioni. Logico che, si cerchi di demonizzare un movimento poco disponibile al compromesso».

Condividete il no all'uso della violenza per affermare l'indipendentismo?
«I popoli hanno diritto a resistere e ribellarsi. Detto questo, abbiamo detto chiaramente che la nostra lotta si svolge alla luce del sole. In A manca non c'è mai stato neppure un dibattito sull'uso della lotta violenta. Vogliamo essere una forza popolare, non una nicchia di carbonari, e usare gli spazi democratici, fin quando esistono. Altri popoli hanno fatto altre scelte, legittime, che poi magari hanno rivisto».

Quando vi si dipinge come semiterroristi, vi dà fastidio?
«Ci lascia completamente indifferenti».

Da L'Unione sarda del 25 maggio 2012

Foto di Alessio Niccolai

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