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sabato 12 maggio 2012

Agricoltura, controlli, tarocchi e coscienza nazionale sarda

Oggi i giornali si svegliano e, secondo il consueto copione della disinformazione disorganizzata fatta con la pancia e non col cervello, seguono l’ultima lepre che la disperazione ha messo in circolazione. Oggi le pagine sono state conquistate dal Pecorino Rumeno (fatto da italiani o da sardi immemori),  nonché da tutti gli altri formaggi che in giro per il mondo imitano i formaggi italiani e sardi. Da qui l’appello a maggiori controlli.
Se però si passa dagli appelli, che fanno crescere i lamentosi ma non risolvono i problemi, alle soluzioni, intorno alle quali matura una nuova classe dirigente forgiata dalla fatica dell’operare con giustizia, allora il quadro cambia e aumentano le responsabilità interne, dei sardi dico.
Quando feci la legge 1/2010 sugli agriturismi e sui prodotti regionali, venni assalito dai produttori sardi (dai grandi produttori sardi) perché non si inserisse, seppure forzando un po’ la normativa italiana, la clausola che prescriveva l’uso della parola Sardegna solo per quei prodotti i cui componenti fossero interamente tracciabili all’interno dell’isola. Insomma, se fosse passata questa linea, nessuno che usi grani o farine, per esempio, ucraini avrebbe potuto parlare di pasta, fresca o secca, sarda; o nessuno che fa formaggi con latte non sardo avrebbe potuto dire che si trattava di formaggi sardi (non parliamo di quelli che stanno comprando le cagliate fuori e poi rifilano i formaggi come sardi); o nessuno che coltiva ortaggi e frutta avrebbe potuto spacciare come sardi ortaggi o frutta importati e poi confezionati in Sardegna; stesso discorso vale per l’olio d’oliva.

DAL BLOG DI PAOLO MANINCHEDDA ...

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