Approfondimenti – Da Lussu a IRS:
Giustizia e Libertà; Sardegna e Libertà; Sinistra, Ecologia e Libertà.
La contesa fra Autonomismo e Indipendentismo.
Nota ai lettori: qui non si parla
di Simon Mossa, né dell’evoluzione in senso indipendentista del
sardismo. Si parla di antisardismo. Ma forse si parla anche dei fatti
rispetto alla retorica congressuale.
Il cerchio si chiude. O quasi. E’ un cerchio che parte con la Brigata
Sassari dal sanguinoso fronte dell’Altipiano di Asiago nel corso della
prima guerra mondiale e si chiude con il voto trasversale
dei partiti italiani che nel Consiglio Regionale Sardo, assieme al
PSD’AZ, hanno messo in discussione la lealtà dello Stato Italiano.
Perché questi accostamenti?
Perché capire le ragioni di Emilio Lussu, della scissione sardista del
1948 e della “nazione abortiva” (quella Sarda), può essere occasione di
riflessione per tanti giovani indipendentisti (ma anche per diversi
sardisti) sui ritardi del nazionalismo Sardo nel cammino per la
conquista della sovranità. Tra questi giovani (ma anche in tanti
osservatori e giornalisti che in questi giorni si stanno interessando di
indipendentismo senza studiare) è opinione comune credere che la IRS
della prima ora (Sedda-Sale) abbia denunciato le mancanze storiche del
sardismo modificando la natura dell’indipendentismo attuale.
Naturalmente non è così, perché, paradossalmente, l’antisardismo attuale
nasce proprio all’interno del Partito Sardo d’Azione emerso dalle
ceneri del fascismo, perpetuatosi poi secondo diverse forme fino ad
oggi. In questa sede non sarà possibile scrivere un saggio esauriente
sul dualismo autonomismo/indipendentismo ma tenteremo di illustrarne i
passaggi e le ragioni essenziali.
Caduto il fascismo (e con esso l’enorme spinta retorica del
nazionalismo italiano), Lussu esce dall’impegno politico clandestino per
riprendere quello democratico, bruscamente interrotto dalla ventennale
parentesi fascista: il mondo è cambiato, l’Italia è cambiata, il Partito
Sardo d’Azione è cambiato, lui è cambiato.
In Sardegna, l’inoculazione del nazionalismo italiano negli ambienti
sardisti viene presto sostituita da un neo-nazionalismo Sardo,
irrobustito dalle vecchie correnti sardo-fasciste, cioè da tutti quei
sardisti che con l’avvento della dittatura mussoliniana abbandonarono il
Partito Sardo d’Azione della prima ora per confluire nel fascismo. Tra
questi ultimi, oltre ai classici opportunisti presenti in ogni epoca
storica, vi erano anche persone sinceramente convinte di migliorare
dall’interno il fascismo per piegarlo agli interessi dell’isola.
Ma finita la guerra, perché avvenne la scissione sardista del 1948?
Lussu non rinnegò mai il sardismo ma non si riteneva indipendentista, la
sua visione dello Stato maturata nel corso dell’esperienza antifascista
era di tipo federale e socialista, e solo in quest’ottica inquadrava il
ruolo del sardismo azionista.
Nel presente sappiamo che federalismo e indipendentismo possono essere
facce complementari della moneta del nazionalismo Sardo, cioè il
federalismo visto come trampolino per una futura indipendenza. Nei tardi
anni ‘40 non era così. Al massimo si poteva essere patrioti italiani
interessati a realizzare uno Stato repubblicano e federale. Lo Stato
repubblicano arrivò, ma non quello federale che desiderava Lussu. Men
che meno arrivò il separatismo della Sardegna nei confronti dell’Italia
politica, quello che desideravano ampi settori del sardismo da cui Lussu
si dissociò.
Oggi possiamo affermare che Lussu era un nazionalista italiano vicino
alla specificità dell’isola e interessato a promuovere il valore della
democrazia attraverso il federalismo.
Combatteva il centralismo italiano, in quanto il centralismo
burocratico era per lui un retaggio dello Stato monarchico-fascista
(così come in URSS il marxismo si era tradotto nella dittatura dello
Stato nei confronti delle masse). E Lussu infatti era un socialista non
comunista, come dichiarò in varie occasioni.
Al suo ritorno in Sardegna i tre/quarti del PSD’AZ erano “separatisti”,
come si usava dire all’epoca e come si usa dire spesso ancora oggi. Egli
vedeva nel vecchio nazionalismo Sardo una forma di isolamento dai
grandi mutamenti sociali e internazionali in atto al termine del secondo
conflitto mondiale. Molti osservatori di lui dissero che non era
nazionalista, laddove per nazionalismo si intendeva – non ciò che dicono
oggi le scienze politiche e i moderni liberalnazionalismi – ma la base
dell’ideologia fascista, la stessa che lo confinò a Lipari, che uccise i
fratelli Rosselli (gli amici dell’esperienza antifascista e libertaria
in Giustizia e Libertà) e che, sostanzialmente, secondo
l’orientamento dell’epoca, creò le basi di uno Stato che assoggettò le
masse rurali (e più in generale “il proletariato”) al grande capitale di
pochi usando la borghesia reazionaria per consolidare il proprio
potere. Il nazionalismo Sardo del PSD’AZ degli anni ‘40 per lui non era
dunque uno strumento idoneo a contrastare lo Stato centralista (anzi, lo
vedeva quasi come un’appendice del nazionalismo fascista) e per
arrivare all’obiettivo federale riteneva giusto lavorare all’unità di
tutte le sinistre italiane per usarle contro i compromessi verso la
borghesia del centro e della destra (invocando a più riprese anche
l’autonomia del Partito Comunista Italiano da quello sovietico).
Per la componente minoritaria degli azionisti Sardi anni ‘40, il
socialismo appariva come l’unico mezzo per la conquista della democrazia
federale. In un certo senso, pare di trovare la stessa ideologia nelle
parole di Gesuino Muledda, attuale leader dei Rossomori, quando parla di
unità della sinistra in chiave non indipendentista ma federalista.
Muledda tuttavia scorda di contestualizzare l’epoca di Lussu. Nel 1948,
quando la corrente socialista del PSD’AZ seguì le idee di Lussu
staccandosi dal partito di Bellieni, i vecchi nazionalisti Sardi
accusarono Lussu di tradimento (oggi succede qualcosa di analogo ma da
sigle diverse: gli indipendentisti ogni tanto accusano di tradimento il
PSD’AZ sull’ideale indipendentista, mentre i Rossomori accusano di
tradimento il PSD’AZ solo per l’alleanza regionale con il centrodestra
italiano). Ma nessuno ha spiegato ai Rossomori che il PSD’AZ maturava
una coscienza indipendentista a prescindere dalle alleanze (e i
Rossomori non sono propriamente indipendentisti) come nessuno ha
spiegato ai neo-indipendentisti che il federalismo che già propugnava
Lussu oggi può essere una fase graduale verso l’indipendenza (infatti i
neo-indipendentisti, impegnati nel folk-ribellismo, fino a qualche anno
fa non sapevano neppure cosa fosse un’Agenzia Sarda delle Entrate).
Senza l’incisiva opera di U.R.N. Sardinnya nel web verso questi giovani,
senza i vari autonomisti (non indipendentisti) che senza successo da
quasi vent’anni parlano di riforme e senza i vari transardisti evasi
dalla partecipazione politica diretta (tra cui Gianfranco Pintore e
Mario Carboni), probabilmente non esisterebbe l’attuale presa di
coscienza di ampi settori dell’indipendentismo Sardo nei riguardi delle
riforme istituzionali da compiere. “Indipendentzia” sarebbe solo uno
slogan antisardista e privo di contenuti, com’era nell’IRS della prima
ora di Sedda e Sale a seguito della scissione di Sardigna Natzione tra
il 2000 e il 2002. Ma, allo stesso modo, senza la conseguente e
consapevole crescita di IRS tra il 2007 e il 2009 non vi sarebbe stata
neppure la nuova spinta propulsiva del PSD’AZ a riprendere in mano
l’ideale indipendentista (grazie al sardista Paolo Maninchedda e alla
linea esposta con Sardegna e Libertà, malgrado denaturata rispetto al
nazionalismo Sardo di fine anni ‘70, di cui parleremo).
Ma torniamo a Lussu per inquadrare il presente.
In risposta alle accuse di tradimento che gli provenivano dall’isola, a
sua volta accusò i quadri sardisti di provincialismo e clientelismo.
Disse lapidario di Luigi Oggiano:
“Tutta una vita Siniscola-Nuoro, Nuoro-Siniscola. Questo è Luigi Oggiano” (Spanu Satta, Il Dio seduto, Sassari, 1978). E ancora:
“Il PSD’AZ è un partito puramente elettorale in cui venti o
trenta avvocati si svegliano improvvisamente durante le elezioni, e poi,
finita la festa, si rinchiudono..” (Discorso all’Olympia di Cagliari riportato da G. Fiori).
La prima frase oggi viene detta dai detrattori dell’indipendentismo
quando lo accusano falsamente di isolazionismo. Mentre la seconda frase
viene usata spesso (magari non a torto) dagli indipendentisti per
l’inefficienza e l’opportunismo politico del PSD’AZ.
Ecco Lussu contro l’indipendentismo:
“Vogliamo mettere al bando il separatismo […] perché è antistorico, demagogico e inconcludente” (Olympia, CA).
Le vicende storiche, al contrario, hanno dimostrato – e Lussu in
piena epoca bipolare non poteva saperlo – che il declino dell’arroganza
dello Stato-nazione nella seconda metà del ‘900 (e soprattutto con il
crollo delle ideologie tra il 1989 e il 1991) ha portato diverse
minoranze nazionali ad aggirare l’intermediazione dei vecchi Stati di
appartenenza rendendosi indipendenti.
Ancora Lussu sul vecchio nazionalismo Sardo:
“Il separatismo è una sottospecie del nazionalismo che esalta sulla tomba degli avi la stirpe” (PSD’A, PSD’AS, Partito Socialista in Sardegna, G. Fiori).
E qui troviamo sia Franciscu Sedda che Paolo Maninchedda. Non per la
critica all’indipendentismo, ma sulla visione del nazionalismo.
Entrambi, con diverse argomentazioni e superando la “costante
resistenziale” di Lilliu, affermano giustamente che l’identità non è un
qualcosa di statico derivante da mitologie passate ma una collettiva
consapevolezza sociale votata all’organizzazione del proprio futuro (e
questo oggigiorno si chiama nazionalismo civico), peccato che Sedda sia
uno dei primi nazionalisti attuali in materia di bandiera Sarda
(sostenitore addirittura di quella giudicale-arborense rispetto ai 4
Mori) ma apertosi in ritardo al riconoscimento del ruolo politico della
lingua Sarda nel suo excursus indipendentista. Maninchedda sotto questo
profilo non è un nazionalista vecchio stampo e si limita a trattare
tiepidamente la questione linguistica privilegiando quella fiscale (su
cui converge Sedda).
Il nazionalismo contestato da Lussu ovviamente non era quello
liberal-nazionalista che intendiamo nel nuovo millennio ma, come
suddetto, un prolungamento dell’ideologia fascista (anche Mussolini
infatti prese a piene mani dal passato i feticci per il suo presente,
come quelli dell’antica Roma imperiale). Oggi sappiamo che difendere la
lingua non è becero etno-nazionalismo ma rispetto dei diritti umani,
come pure dovremmo sapere che studiare il nostro passato (senza fonderlo
nella politica) non è nazionalismo ma puro buonsenso.
Eppure, l’influenza della sinistra italiana sul sardismo (che
raccolse l’eredità delle polemiche di Lussu coi sardisti) e il classico
notabilato politico del PSD’AZ (già denunciato da Lussu) che frenava la
componente indipendentista, nella seconda metà del ‘900 finì per
perpetuare all’interno del Partito Sardo d’Azione una visione ambigua
circa le finalità da portare avanti, a metà strada fra un semplice
autonomismo inserito nella Repubblica Italiana e un completo separatismo
dalle istituzioni italiane. Circostanza che rinvigorì le fila di quanti
trovavano nel Partito Sardo d’Azione uno spazio politico in cui
perseguire interessi particolaristici piuttosto che cause collettive di
popolo. Bellieni lamentava questo doppiogiochismo di ruoli di
alcuni aderenti al partito fin dall’epoca fascista. Ambiguità proseguite
anche dopo l’adozione di uno statuto di partito pienamente
indipendentista nei primi anni ‘80 e che diedero nuova spinta a terze
formazioni indipendentiste in polemica con l’azionismo per la sua
inefficacia sull’ideale di fondo. Nel secondo dopoguerra, la Lega Sarda
di Bastià Pirisi fu uno dei primi esempi di nazionalismo indipendentista
tout court apertamente polemico con la gestione azionista.
Al netto della situazione, nel sardismo paiono contare più le idee di
pochi eletti che non i congressi di partito con i contenuti identitari
che li animano.
Nel 2012 la consapevolezza di combattere ogni forma di centralismo
nell’interesse dei ceti sociali più deboli è una ideologia ampiamente
penetrata in vari partiti politici, spesso simbolicamente seguaci del
pensiero di Lussu, anche in Sinistra, Ecologia e Libertà (formazione Vendoliana italiana), che in Sardegna ha ritenuto inevitabile convergere su alcune classiche tematiche sardiste.
Tuttavia, malgrado non si possa certificare l’esistenza di un chiaro
nazionalismo Sardo oltre i confini di ampi settori del sardismo e delle
sigle strettamente indipendentiste, possiamo affermare che il
nazionalismo Sardo ha mutato il suo DNA ideologico in ragione
dell’evoluzione di quello italiano nell’isola: più si è affermata
l’omologazione centralistica italiana della Sardegna (per lingua,
cultura, economia e politica), più il nazionalismo Sardo ha spostato
l’epicentro dei suoi interessi ideologici dai cardini dell’identità a
quelli dell’economia. Se infatti il movimento linguistico Sardo di fine
anni ‘70 aveva proprio la Lingua Sarda come base dell’ideale
indipendentista, nel presente l’ideale indipendentista (e sardista) ha
spostato nella sovranità fiscale le ragioni del proprio agire politico.
Purtroppo il vecchio (ma attuale) tema della zona franca non fu
sostenuto con convinzione né dal sardismo, né dalle attuali forze
indipendentiste, nonostante tale misura di politica economica sia stata
persino inserita nello Statuto Autonomo regionale. Tutto ciò ha
comportato sia un aspetto positivo che uno negativo: quello positivo
riguarda la consapevolezza di aver appreso che senza benessere ed
autogestione economica non ci può essere sovranità reale; l’aspetto
negativo invece riguarda lo scarso interesse politico a difesa e
promozione della Lingua Sarda, che fa annacquare nell’isola il potere
politico che gli deriverebbe dal far valere la sua condizione di
minoranza linguistica nel quadro dei rapporti fra l’Autonomia regionale e
lo Stato centrale e, allo stesso tempo, condanna a morte i diritti
individuali e collettivi di quella componente del Popolo Sardo sardofona
e inconsapevole della discriminazione linguistica e sociale in cui si
trova rispetto alla lingua italiana.
In sintesi: l’attuale nazionalismo Sardo che cosa vuole contribuire a
costruire? Una moderna Repubrica de Sardigna aperta al mondo o una
sedicente e cosmopolita Repubblica Italiana di Sardegna?
Non sarebbe più opportuno occuparsi sia di Fisco che di Lingua e cultura territoriale?
Di A. Bomboi e R. Melis.
TESTO ORIGINALE
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