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giovedì 3 maggio 2012

28 Aprile, giornata della Repubblica sarda

Di Oggianu Marco,
ProgReS Progetu Repùblica – Gaddhura – Montacutu

Juanne Maria Anzoe, o Angioy, era indipendentista, come tutti noi. Sardo, Repubblicano e Indipendentista. Dopo un lungo percorso che gli costò anche l’esilio arrivò alla conclusione che la Sardegna si sarebbe potuta sviluppare secondo i principi illuministi e borghesi del tempo solo con la creazione di una Repubblica Indipendente sul modello francese. Morì a Parigi, lontano dalla propria terra, cercando di convincere Napoleone a organizzare una spedizione nell’Isola in aiuto al Popolo Sardo e ai patrioti che volevano l’Indipendenza dal Piemonte e dal regno sabaudo.
Per usare dei termini di paragone con la storia italiana Juanne Maria Anzoe era un Mazzini, un Garibaldi e un Cavour messi insieme. Ma era anche uno di noi, uno che il percorso indipendentista lo fece tutto, da fedele suddito funzionario di sua maestà Vittorio Amedeo a patriota Sardo ribelle esiliato.
E una volta compiuto questo percorso, indietro non si torna. Si possono avere mille idee di Sardegna indipendente, si può discutere sui metodi per raggiungere questa Indipendenza, ma il fine ultimo quello resta, senza “se” e “ma”. Angioy pagò di persona per questo ideale, perse i beni, la terra, la famiglia e si ritrovò solo in un paese straniero, praticamente nullatenente. Eppure anche lì nella sua testa il fine ultimo rimaneva, fisso e inossidabile, come un’ossessione: la Repubblica di Sardegna.
Un Ideale che attraversava i tempi, nel quale sembrava rivivessero i ricordi dell’epopea arborense, i Mariano, gli Ugone, le Eleonora, gli Alagon e parve realizzarsi allorché la ribellione del 28 aprile 1794 uscì dalle mura di Cagliari e attraversò l’intera Sardegna, trasformandosi in rivoluzione vera e propria. I feudatari spodestati, contadini e pastori che imbracciavano le armi e accorrevano tra le fila dei patrioti, nascevano inni, l’intera Sardegna esplodeva come dinamite fino al trionfo di Sassari.
E l’avvenimento restò così impresso nella testa dei Sardi che anni dopo altri due patrioti, Cilocco e Mundula, tentarono uno sbarco a Santa Teresa di Gallura per sollevare la popolazione, e ancora in seguito a Cagliari si ebbe la congiura di Palabanda.
La reazione vinse, la repressione fu dura e crudele. Le teste mozzate dei martiri rimasero per mesi esposte sulle mura delle città sarde a monito. I feudatari, un’esigua minoranza di privilegiati, eredi dell’aristocrazia fondiaria parassitaria di origine spagnola, mantennero ricchezza e privilegi, e divennero la colonna portante del nuovo potere, quello Sabaudo. Prima nel Regno di Sardegna, poi per espansione nel Regno d’Italia, quindi come Regione Autonoma all’interno della Repubblica italiana, le istituzioni dell’Isola altro non furono che strumenti degli interessi di un’esigua minoranza di privilegiati, con la gran parte della popolazione esclusa da qualunque possibilità di emancipazione. E ancora oggi la situazione permane tale e quale.
La rivoluzione industriale in Sardegna avvenne tardi, fu una farsa, un’imposizione, la creazione di impianti politici più che economici, strutture di controllo sociale e dominazione. Industrie in perdita mantenute attraverso sovvenzioni statali, lavoratori pagati per produrre il nulla, dirigenti che in realtà erano funzionari di partito o speculatori, pronti a scappare dopo aver sfruttato debitamente tutto ciò che c’era da sfruttare.
Il vero sviluppo, quello basato sulla riforma agraria, su una razionalizzazione dei sistemi di economia autoctona, quello che voleva Angioy, sarebbe dovuto andare di pari passo con la fine del feudalesimo e l’annullamento dei privilegi, che richiedevano però la fine della dominazione straniera e la creazione di una Repubblica Sarda indipendente. Non è avvenuto, e oggi queste élite parassitarie sono ancora in sella.
Il 28 aprile è stato eletto a Die de sa Sardigna da questa stessa classe politica e intellettuale, dagli eredi di coloro che hanno mozzato le teste ai patrioti e esiliato Angioy, dagli stessi che allora si inginocchiavano davanti ai Vicerè di turno. Un paradosso che non ha eguali nel Mondo, come se che ne so, gli Inglesi del Nord Irlanda facessero propria la festa di San Patrick, o gli italiani del Sudtirolo festeggiassero la Notte dei fuochi di Andreas Hofer, magari trasformandole in scampagnate fuori porta e dedicandole al re d’Inghilterra o a Gabriele D’Annunzio.
Per questo la chiamano Die de sa Sardigna e non Festa de sa Libertade, o de Sa Natzione Sarda, per dire. Per questo la dedicano un anno alla Brigata Sassari, un anno a qualche poeta o scrittore, un anno magari a Sant’Efisio, un anno al Cagliari dello scudetto, un anno propongono di dedicarla alla Lingua sarda, ma mai alla Repubblica sarda, alla Nazione sarda, all’Indipendenza, ciò che nei fatti, in realtà invece fu.
Lo dobbiamo pretendere del resto da chi in questo sistema ci ha sempre sguazzato? Lo dobbiamo pretendere da chi parla di difesa della lingua come un feticcio, un qualcosa di distinto dalla nazione sarda e dalla sua indipendenza? Lo dobbiamo pretendere da chiunque veda l’indipendenza come uno spauracchio?
Ecco perché quindi questa festa ha perso di anno in anno il suo significato, fino a diventare quasi una delle tante ricorrenze regionali italiane. Un normale moto di contadini e di braccianti che si ribellavano ai signori feudali. Le rievocazioni sono ridotte a mero folklore, come una qualsiasi sagra paesana.
Ma che se ne sia impossessata la gente sbagliata non vuol dire che il fatto storico sia stato cancellato. Oggi più che mai Angioy, Mundula, Cilocco, patrioti che per i loro Ideali e per la Nazione Sarda hanno dato la vita, restano dei punti fermi per tutti noi, che facciamo politica senza pensare al guadagno o a un posto pubblico, o al vitalizio da parlamentare.
Sa die de sa Sardigna è la festa della Rivoluzione nazionale sarda, è simbolo di Libertà, Emancipazione, Indipendenza, è il giorno per ricordare a tutti che siamo una nazione senza stato e che lavoriamo quotidianamente per costruire la nostra repùblica.
La possono girare come vogliono, ma in qualunque lingua si scriva, l’Idea resta, come punto fermo, bagliore di luce nella notte, e quell’Idea, che ieri era di Angioy e oggi è la nostra, può solamente essere la Repubblica sarda indipendente, europea, aperta al mondo.

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