Il leader di Irs: basta con l'indipendentismo che si isola nel ghetto
Serve un'alleanza basata su progetti seri di autodeterminazione
Resta
sul tavolo un foglio, l'intervista con Gavino Sale è finita. Restano i
suoi appunti, pochi concetti scritti a penna, come per chiamare a
raccolta le idee, durante il forum dell'Unione Sarda
sull'indipendentismo. E al centro del foglio, in evidenza, una frase che
suona solenne: Il destino si disvela allo sguardo.
Se
l'avesse scritta più volte ricorderebbe il mattino ha l'oro in bocca di
Jack Nicholson in Shining, e del resto a tratti lo sguardo di Sale
giustifica il paragone. Ma il leader di Irs non è un folle, semmai un
folletto: da vent'anni agita il quadro politico, sparisce, riappare un
po' qua e un po' là, cambia direzione con strambate da America's Cup.
Sprigiona fascino magnetico e suscita avversità profonde. Di certo non è
banale. «Quella frase - spiega Sale - è di Elémire Zolla, antropologo
novecentesco. Significa che il destino ce l'abbiamo davanti agli occhi,
basta agguantarlo».
Parla dell'indipendenza della Sardegna? Oggi sembrano volerla tutti.
«È il frutto di dieci anni del nostro lavoro. Stiamo raggiungendo gli obiettivi, i nodi stanno venendo al pettine».
È anche possibile che si voti un referendum sull'indipendenza: Doddore Meloni ha raccolto 27mila firme, c'è anche la sua?
«Io
ho autenticato alcune firme, come consigliere provinciale. Ogni
iniziativa dei movimenti indipendentisti contribuisce ad alimentare il
tema che ormai è al centro del dibattito politico».
Ma condivide l'iniziativa di Meloni?
«Da
poco, a Barcellona, ho parlato con quelli dello Scottish national
party: anche se hanno il 51% rifiutano la proposta di Londra di fare già
nel 2013 il referendum sull'indipendenza, la considerano una
trappola».
Perché mai?
«Sanno che
non tutti quelli che hanno votato l'Snp sono indipendentisti. La Scozia
non è ancora pronta. E se non lo è la Scozia, figuriamoci la
Sardegna».
Teme anche lei che la consultazione diventi un autogol per i vostri ideali?
«Da
un certo punto di vista, farebbe discutere ancor di più. Ma
tatticamente penso che non sia il momento. Il referendum è
un'accelerazione che non era da fare adesso».
Se non ora, quando?
«Non
si possono sapere adesso i tempi. L'indipendenza è come una nave. È
sicuro che siamo partiti. È sicuro che il processo sia inarrestabile.
Poi dipenderà dalle intemperie o dal vento favorevole».
Ammetterà che non si era mai parlato così tanto di indipendenza, nel dibattito politico sardo.
«È
vero. È una parola che suscitava diffidenza e ora è sdoganata. La
questione della libertà della Sardegna è irrimediabilmente posta, grazie
anche al lavoro decennale di Irs, che ha sfatato i vecchi cliché».
Come è stato possibile?
«L'aspetto
più rivoluzionario è stata la scelta della non violenza. Quando ne
parlammo, in Corsica, i movimenti indipendentisti internazionali ci
isolarono per un anno e mezzo. Ora i fatti di Catalogna e Scozia ci
danno ragione».
La non violenza non è una scelta solo di Irs.
«Abbiamo
altre caratteristiche vincenti. Soprattutto la capacità di stare
dentro le contraddizioni della società sarda, stare insieme ai
movimenti come le partite Iva, i pastori, gli artigiani. Conoscendo
profondamente la realtà sarda siamo usciti da una certa visione politica
elitaria, quasi settaria. Abbiamo anticipato i tempi, e la fortuna
dell'ideale indipendentista negli ultimi due anni ci ha dato ragione».
Non sarà una fortuna dovuta alla crisi economica e alla difficoltà di avere risposte dallo Stato?
«La
crisi è stata un caleidoscopio che ha dilatato le contraddizioni del
rapporto tra Sardegna e Italia. Ha svelato un attacco violentissimo
dell'Italia alla Sardegna, una guerra non dichiarata contro la quale
dovremmo fare ricorso all'Ue».
Per lamentare la violazione dei patti sulle entrate?
«Su
entrate, trasporti e altro ancora. Lo Stato si comporta in modo
illegale, l'Europa deve fare da garante. Le leggi italiane possono avere
effetti positivi in Italia, ma deleteri in Sardegna».
Quindi se i sardi chiedono più autogoverno è per una rivendicazione, non per reale sentimento identitario.
«C'è
una cosa e c'è l'altra. Una presa di coscienza, legata alla conoscenza
della nostra storia e al sedimentare del senso di appartenenza alla
nazione sarda: amplificata però dalle contraddizioni della crisi».
Che cosa pensa dell'ordine del giorno sardista, che ridiscute la permanenza della Sardegna nella Repubblica italiana?
«Che
ha messo in forma istituzionale questo processo decennale. Ha fatto
entrare in Consiglio regionale i concetti di indipendenza e sovranità.
Ma è quest'ultima, in questa fase, la parola magica».
Non l'indipendenza?
«L'autonomia
è superata, l'indipendenza è ancora lontana. La sovranità è la pietra
che non ci farà bagnare i piedi, nel guado verso la libertà».
Non sarà un concetto di indipendenza annacquato?
«Ciò
che preme a Irs, nel lungo periodo, è l'indipendenza. Ma per arrivarci
bisogna prima mostrare capacità di governo. Uscire dal ghetto
isolazionista dell'indipendentismo. Questa oggi è la proposta di Irs.
Aggregare tutte le forze politiche che si riconosceranno nella necessità
di conquistare tre tipi di sovranità: fiscale, energetica,
alimentare».
Quindi è disposto ad allearsi con quelli che chiamate partiti italiani?
«Izquierda
catalana e Snp dimostrano che emerge, e governa, chi riesce a
sintetizzare gli ideali di giustizia sociale della sinistra con
l'indipendenza. Mentre i partiti di sinistra che si ostinano a difendere
gli interessi statali sono destinati a soccombere. In Scozia l'Snp si è
pappato il Labour».
È un monito al Pd?
«Il
Pd non tenti di bloccare un processo che è condiviso da molti suoi
militanti di base e quadri intermedi. Se si trasformasse davvero nel Pd
della Sardegna sarebbe un fatto positivo. Ma se non si adegua,
scompare».
Invece il leader di Sel, Michele Piras, ha proposto proprio un'alleanza “sovranista”.
«È
un fatto positivo, la conseguenza di una maturazione della società
sarda. Ripeto, è vincente coniugare i concetti della sinistra con
l'indipendentismo».
Guardate solo a sinistra?
Eppure il Pdl ha votato l'ordine del giorno sardista, e Cappellacci ha
un profilo sempre più autonomista.
«Guardiamo a chiunque
crede in questi progetti. Contro Cappellacci non ho niente, ma ha un
atteggiamento comune a molti sardi: genuflesso. All'emiro del Qatar ha
chiesto rispetto: il capo della nazione sarda non può chiedere questo. È
indegno continuare a sperare che qualcuno ci conceda briciole di
sopravvivenza».
E col Psd'Az come vanno i rapporti?
«Stanno
attraversando un momento interessante. Credo che per loro sia il
momento di porre fine all'agire tattico, ed entrare in una
progettualità strategica. Perché gli anni passano».
E che significa?
«Come
dicevo citando Zolla, il destino è lì che aspetta solo di essere
agguantato. E i sardi stanno decidendo di agguantarlo. Il momento è
adesso».
Da L'Unione Sarda del 4 maggio 2012
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